Nipote 20enne costretta a prostituirsi, assolta 35enne
L’accusa era grave e particolarmente infamante: quella di aver costretto la nipote, all’epoca appena ventenne, a prostituirsi, anche mentre era incinta e dietro espressa minaccia di morte.
Non solo. Alla donna, una 35enne di Rossano-Corigliano, si contestava che in più situazioni avesse favorito e agevolato il meretricio della ragazza accompagnandola addirittura sul luogo in cui si prostituiva per poi riportarla a casa; o che stabilisse le tariffe delle prestazioni sessuali.
E poi: controllando e sfruttando i relativi guadagni, garantendo protezione, organizzando gli appuntamenti con un numero selezionato di clienti facoltosi e che l’avesse costretta ad incontrarli in una abitazione privata.
Inoltre, l’aggravante: quella cioè di aver commesso questi fatti con la violenza e la minaccia, ovvero picchiando la vittima prendendola a calci nella pancia, minacciandola e ferendola con un coltello.
La 35enne è stata poi chiamata rispondere di maltrattamenti, per aver “abitualmente” procurato alla giovane delle “sofferenze morali e fisiche”, allontanandola da contatti con persone diverse dai “clienti” e determinando, così, uno stato di isolamento della ragazza che, in una occasione, sarebbe stata portato lontano da casa senza alcun effetto personale e senza denaro.
Secondo l’accusa, insomma, la vittima sarebbe stata sottoposta quotidianamente a maltrattamenti, soprusi, minacce e lesioni per costringerla a consegnare i proventi dell’attività di prostituzione: se questi fossero stati inferiori alla cifra di 300 euro, poi, la ragazza sarebbe stata picchiata nonostante le sue condizioni di debolezza psicofisica e lo stato di gravidanza.
In seguito alla denuncia presentata dalla parte offesa, il Gip del Tribunale di Castrovillari aveva emesso una ordinanza di custodia cautelare che disponeva i domiciliari per la 35enne.
Il procedimento è poi sfociato nel processo penale, nel corso del quale, in sede di discussioni finali, il Pubblico Ministero ha formulato una richiesta di condanna a 5 anni di reclusione.
Il Tribunale della città del Pollino, in composizione Collegiale, all’esito della camera di consiglio, ha però accolto totalmente le richieste avanzate dal difensore dell’imputata, l’avvocato Francesco Nicoletti, assolvendo la donna con la formula più ampia “perché il fatto non sussiste”.