Suicidio assistito per giudice vibonese: chiesta l’archiviazione dei medici, la figlia non ci sta
Arriva una svolta nelle indagini aperte in seguito alla morte del magistrato di origini vibonesi Pietro D’Amico, che all’età di 62 anni, mentre correva l’anno 2013, decise di andare a Basilea, in Svizzera, per esercitare un suicidio assistito.
In seguito all’avvenimento venne aperta un’indagine nella quale furono coinvolti, con l’accusa di omicidio colposo, il dottor Antonio Lamorgese, 59enne di Fano, e la dottoressa Elisabetta Pontiggia, di Pavia.
Ai medici era contestata la colpa di aver stilato certificati fuorvianti sulle reali condizioni di salute del magistrato tanto da attribuirgli un’invalidità del 100 per cento.
Secondo il sostituto procuratore Giovanni Fabrizio Narbone - che ha chiesto l’archiviazione del fascicolo - i medici vanno però prosciolti perché non potevano sapere quale sarebbe stato l’utilizzo finale.
Da quanto riportato nei fascicoli, il dottor Lamorgese sarebbe stato fermo all’obiettivo della pensione "da rimpolpare" grazie a quel certificato stilato nel suo ambulatorio di Fano nel marzo del 2013 mentre D’Amico, già in pensione da 3 anni, avrebbe puntato a convincere gli svizzeri con quel certificato ad autorizzare il suo suicidio.
La figlia del magistrato però non ci sta e si oppone alla richiesta di archiviazione. Ora spetterà al gip decidere se accogliere le tesi del pm oppure quella della figlia del defunto.