Reati culturalmente motivati: convegno degli avvocati al Tribunale di Crotone
Alla presenza di una folta rappresentanza istituzionale, venerdì scorso presso il Palazzo di Giustizia di Crotone, si è tenuto il seminario giuridico formativo, accreditato presso l’Ordine degli Avvocati di Crotone sull’importante tema dei reati culturalmente orientati nella prospettiva internazionale.
A sottolineare l’importanza della tematica e dei suoi molteplici risvolti, penali, civili e culturali erano presenti tutti: dal Procuratore della Repubblica Giuseppe Capoccia al Prefetto Fernando Guida, dall’arcivescovo Monsignor Domenico Graziani - per la prima volta relatore in Tribunale - al Questore Massimo Gambino, dal Vicesindaco Benedetto Proto fino ai rappresentanti delle Forze dell’Ordine locali; Carabinieri, Guardia di Finanza, Capitaneria di Porto e Polizia Penitenziaria.
L’iniziativa è stata promosso dal Coa di Crotone nella persona della Consigliera Angela Maria De Renzo, su proposta del Garante comunale dei diritti dei detenuti l’avvocato Federico Ferraro, relatore principale insieme a Luigi Mariano Guzzo, docente presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro.
“La nostra terra – è stato detto nel corso dei lavori - è legata doppiamente al fenomeno migratorio sia in entrata che in uscita: la Calabria e, soprattutto Crotone, è terra di arrivo di immigrati ma allo stesso tempo luogo di emigrazione dei giovani calabresi alla ricerca di una realizzazione professionale adeguata. Per tali motivi per noi crotonesi il confronto con le altre culture e identità è quasi inevitabile.
Normalmente quando si pensa all’identità religiosa o culturale si associa all’idea di un diritto oramai riconosciuto, quale patrimonio giuridico inserito nelle principali Convenzioni internazionali. Ogni affermazione di un diritto è d’altro canto sintesi di un processo dialettico, come direbbe Hegel, fatto di tesi (negazione del diritto) di antitesi(tolleranza) ed infine della sintesi (il riconoscimento finale).
La domanda che ci si è posta nel seminario è la seguente: può la libertà di pensiero, coscienza e religione essere invocata o strumentalizzata per commettere reati? Nell’alveo della fattispecie dottrinaria dei reati culturali rientrano quegli illeciti legati all’uso di stupefacenti, per rituali culturali o religiosi, casi violenza sessuale intra-coniugale per una concezione del matrimonio più maschilista, omicidi per riappropriazione dell’onore del tradito, mutilazioni o altre violenze contro l’integrità fisica per rispettare usanze del gruppo di appartenenza (circoncisioni rituali, mutilazioni genitali femminili).
Alla base della commissione dei cd. reati culturalmente orientati o motivati vi è un conflitto culturale tra soggetti che appartengono a diverse culture e che coabitano lo stesso territorio: un immigrato o un cittadino appartenente ad una cultura minoritaria realizza delle condotte che sono lecite o facoltizzate secondo il proprio codice di valori ma che è penalmente rilevante per l’ordinamento giuridico del paese ospitante”.
Sono stati esposti tanti casi giurisprudenziali: “il padre che picchia figlia per imporle lo studio del Corano fino a notte fonda, pensando di esercitare lo ius corrigendi, mentre per il nostro paese tale condotta integra la fattispecie di reato dei maltrattamenti in famiglia prevista e punita dall’art. 572 c.p.). Di questi giorni è la vicenda della madre che picchiava la figlia per costringerla all’uso del velo.
Celebre è infine la triste vicenda di Hina Saleem, la ragazza di origini pakistane immigrata nel nostro paese con la famiglia ed uccisa per mano del padre e degli zii, per la sola “colpa” di voler vivere alla occidentale. Il fenomeno dei reati culturalmente motivati non riguarda soltanto l’Italia ma ovviamente l’intera comunità internazionale ed è fortemente avvertito negli Usa, società caratterizzata dal multiculturalismo.
Fece molto discutere, in un passato non troppo lontano, il caso Kimura del 1985, dove una moglie di origine giapponese immigrata negli Usa, per reagire ai tradimenti del marito, tentò la pratica di suicidio/omicidio dei figli, gettandosi nell’oceano. Lei venne soccorso mentre i figli rimasero uccisi e la comunità di madri giapponese raccolse circa 25000 firme, per sostenere il folle gesto, giustificato dalla circostanza di voler reagire al torto subito e di portare con sé i figli per sottrarli ad una vita senza guida materna.
Merita qualche riflessione anche il caso Chen 1987, relativo ad un immigrato cinese sempre in America, che per reagire ai tradimenti della moglie la uccise a martellate.
In entrambi i processi penali gli imputati ottenere un dimezzamento della pena per effetto dell’invocazione della culturale defense: strategia difensiva tesa ad ottenere un’attenuazione della responsabilità penale in parte giustificando una condotta per motivi culturali in parte facendo leva Su una capacità di intendere e di volere “grandemente scemata”.
Si è passati poi alle reazioni giurisprudenziali: “a tali situazioni sono le più variegate secondo il modello di common law, di carattere multiculturalista, alcune volte viene riconosciuta un’attenuante della responsabilità penale, per esempio riconoscendo un minimo di liceità ad alcune condotte, per effetto della giuria popolare integrata dalle minoranze culturali: es. Hinuit del Canada o Pellerossa degli Usa).
Nel nostro paese è oramai noto l’indirizzo giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione cd. “teoria dello sbarramento invalicabile” per la quale non è possibile valicare i diritti fondamentali quali la vita o la dignità umana giustificando il gesto per appartenenze religiose e o culturali.
Occorre rilevare che il fattore religioso nel contesto internazionale ha una sua importanza mutevole: vi sono alcune realtà giuridiche come il S. America o l’Occidente nei quali la dottrina parla di “tendenza laicizzante” per cui la religiosità rimane nella sfera puramente individuale e, dunque irrilevante per la vita pubblica; ciò si traduce in testi costituzionali neutrali rispetto al fenomeno religioso. Diametralmente opposta a tale situazione vi sono le teocrazie quali la Repubblica Islamica dell’Iran dove persino i candidati alle elezioni politiche presidenziali necessitano dell’imprimatur del Consiglio dei Guardiani: organo collegiale composto da religiosi e giuristi.
Come via di mezzo vi sono infine esempi postivi in cui il fattore religioso è stato un grande alleato del potere laico per risolvere conflittualità che avrebbero portato a violenze ed intolleranze: si consideri l’esempio del Principato di Andorra. Il microstato dal 1278, a conclusione della guerra tra Francia e Spagna, per la contesta territoriale strategica, ha scelto la forma di governo diarchica parlamentare e tutt’ora è governata congiuntamente dai due co-principi: il Vescovo di Urgell e il Presidente della Repubblica Francese”.
“Alla luce di tali considerazione ha ragione la dottrina che considera il diritto penale un prodotto tipico locale che è intriso fortemente di tradizioni, usanze culturali, che mutando implicano modifiche anche nelle norme penali incriminatrici. E’ un esempio l’abrogazione nel 1981 del delitto d’onore”.
Si è convenuti infine che “per dare una risposta sanzionatoria o risolutiva a queste vicende non vi è ovviamente una soluzione non univoca il problema per la giurisprudenza, da risolvere caso per caso è quello di capire dove diritto rimane lecito e dove il medesimo diventa reato”!!