“Gli arcobaleni di altri mondi”, la Fondazione Lilli omaggia De André
A vent’anni dalla morte di Fabrizio De André, la Fondazione Lilli intende omaggiare l’artista genovese, cantautore, poeta e intellettuale a tutto tondo. Si rigenera, così, il binomio musica-solidarietà, riproposto ogni anno dalla Fondazione per riavvicinare, attraverso il linguaggio universale della musica, le persone e la solidarietà. Questa prima tappa dell’estate della Fondazione Lilli, che vedrà il suo culmine nel concerto di Malika Ayane al Teatro dei Ruderi di Cirella il 18 agosto, nasce dalla sinergia dei cantautori calabresi Sasà Calabrese e Daniele Moraca, da sempre interessati di storia della canzone d’autore italiana.
I due musicisti esplorano il repertorio di De André rintracciandovi il messaggio di lotta pacifica, di solidarietà, di amore. Riproporre il lavoro di De André significa onorare la coerenza con cui egli ha imposto le sue scelte al mercato, rifiutandone il condizionamento commerciale e privilegiando –sempre- i contenuti e il profilo estetico. Significa, anche, riscoprire la corrispondenza fra la sua opera e la sua esistenza, offrendo una testimonianza cui è difficile restare indifferenti. Una musica e un linguaggio in grado di emozionare e aggregare diverse generazioni.
Il concerto di Cetraro, città di mare, riscrive una nuova mitologia del Mediterraneo: la Calabria, come Genova, ha visto alternarsi e coesistere numerosi popoli e culture che provenivano da tutti i continenti. Proprio De André descrive, con una delle sue canzoni più rappresentative della carriera artistica “Creuza de mä”, Genova come città dalle frontiere aperte, porto di mari vicini e lontani. Luogo dove si incontrano culture diverse, punto nevralgico di scambi tra razze e mercanzie, porto franco dagli orizzonti sospesi, il Mediterraneo come luogo di divergenze, condivisioni e incontri che riescono armoniosamente a convivere. De André stesso scrisse che questo testo non fu dedicato né al genovese né a Genova, ma al bacino del Mediterraneo, confluenze di mari, terre e popoli.
L’itinerario musicale del duo Moraca-Calabrese parte da questo cantautore della scuola genovese, che spiega tappa dopo tappa le diverse maniere di cantare il Sud. La performance ripropone brani della produzione più recente, ma anche classici più conosciuti al grande pubblico, rifacendosi, dal punto di vista degli arrangiamenti, ai concerti con la PFM e all’ultima tournée, oltre che a nuove sonorità del 1998, mantenendo integra la struttura dei brani.
Lo spettacolo metterà in luce, attraverso un percorso cantato e parlato, anche il De André poeta e cantastorie. Aneddoti, immagini evocative, foto a tema, la lettura di stralci scritti da Faber, contribuiranno a dare una visione completa dell’uomo e della sua opera. Il concerto è stato pensato con l’intento di asciugare la forma canzone nella sua essenzialità, facendo risaltare le parole, la lirica, la melodia. Sul palco, insieme a Sasà Calabrese e Daniele Moraca, ci saranno Roberto Risorto (pianoforte), Danilo Chiarella (basso elettrico), Checco Pallone (percussioni, tamburi a cornice), Massimo Garritano (Bouzouki, Lap Steel). Una formazione particolare, che propone strumenti di tradizione, con un approccio acustico, grezzo ma di grande impatto, dove il legno prevale sull’elettronica.
Da “Bocca di Rosa” a “Via del Campo”, da “Rimini” a “Hotel Supramonte”, “Fiume Sand Creek”, “La città vecchia”, “La canzone di Marinella”, “Un giudice”, “Don Raffaè” con queste e tante altre canzoni gli artisti cercheranno di raccontare il mondo di Faber, che sapeva parlare d’amore e di morte, che faceva parlare gli umili, gli oppressi, i disperati, i perdenti, e che raccontava l’importanza di essere liberi, liberi soprattutto di ragionare con la propria testa.
In molti dei suoi brani, per esempio ne “Il Pescatore”, ritroviamo il senso della sua opera. Nel celebre aforisma dell’artista, nel suo tratto più autentico, più tenero e intimo, secondo il quale dove finivano le sue dita doveva in qualche modo cominciare una chitarra, si rinnova anche il messaggio di solidarietà della Fondazione Lilli, secondo il quale dove finiscono le nostre dita debbono, in qualche modo, cominciare quelle di chi ha bisogno.