De Blasio (Lidu): “violenza di genere, autonomia delle donne è la chiave di volta”
Nel corso del 2018 sono 142 le donne sono state vittime di femminicidio nel nostro Paese. Nonostante questi numeri, in Italia sono solo 281 le strutture che dovrebbero raccogliere le istanze di circa 44 mila donne che hanno chiesto aiuto (dato del 2017).
Ogni 72 ore, in Italia, una donna viene uccisa, quasi sempre da persone vicine. L’entrata in vigore pochi mesi fa del Codice Rosso ha permesso la velocizzazione delle indagini e dei procedimenti giudiziari inasprendo le pene per i delitti di violenza di genere.
Dati su cui si sofferma la Lega Italiana dei diritti dell’uomo sezione Reggio Calabria per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che sostiene fermamente “il bisogno di una specializzazione elevata da parte dei magistrati per evitare che si vanifichi lo scopo della legge stessa e il suo impatto nel futuro.
Un altro strumento importante a tutela delle vittime di violenza è il Progetto Liana, un protocollo delle Forze dell’Ordine da attuare in occasione di interventi riguardanti questo tipo di reati per dare una priorità alle richieste di soccorso per le vittime di violenza. Per ultimo, il 23 novembre il Ministro Gualtieri ha dichiarato di aver pronto il Decreto Ministeriale per il fondo per gli orfani di femminicidio atto a finanziare borse di studio, spese mediche, formazione e inserimento al lavoro”.
“Questo cambio di passo del nostro Paese, purtroppo, deve fare i conti con un problema culturale che è spesso causa e origine delle violenze ed è il frutto di diversi fattori, uno di questi è sicuramente la mancanza di indipendenza economica che crea una subordinazione nel rapporto di coppia e aumenta il rischio di violenza nei soggetti predisposti – spiega Daniela De Blasio presidente della Lidu Reggio.
“A mio avviso è proprio il lavoro ad essere lo strumento cardine per far uscire le donne dal contesto familiare violento. Infatti, spesso le donne non denunciano per la mancanza di un lavoro, per paura di perderlo e per paura di non poter sostentare i propri figli. Sarebbe opportuno avviare iniziative che sostengano realmente anche l’occupazione delle donne che vogliono uscire dalla violenza, istituendo corsie preferenziali come quelle previste, ad esempio, per le vittime di criminalità organizzata. Le donne vittime di violenza devono avere l’opportunità di usufruire di un percorso di enpowerment e di indipendenza economica, anche attraverso percorsi di formazione professionale dedicati, sostegno e percorsi di sensibilizzazione rivolti alle imprese che, incentivate, potrebbero inserire le donne vittime di violenza nelle proprie aziende.”
“Quindi, - conclude - l’autonomia delle donne come chiave di volta, non in una logica di assistenzialismo ma in un’ottica di politica attiva del lavoro per il raggiungimento di diritti economici e lavorativi”.