Truffatori online per “mestiere”, pigliavano la caparra e sparivano: arrestati in quattro

Cosenza Cronaca

Truffavano la gente su internet ma per loro era un vero e proprio lavoro. Alcuni dei malviventi, poi, incassavano pure il reddito di cittadinanza, e in un caso pare avessero mostrato un certo pentimento, quando cioè rifilata la fregatura ad un papà che voleva regalare un motorino al figlio, quasi quasi avevano deciso di bloccare il raggiro, ma non senza aver incassato un acconto.

Questi in sintesi alcuni dei particolare dell’operazione dei Carabinieri del Comando Provinciale di Cosenza, che assistiti dalla Polizia Postale della Calabria, all’alba di oggi hanno arrestato quattro persone, due finite in carcere e altrettante ai domiciliari, con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffe on-line.

L’indagine è partita nel mese di maggio dell’anno scorso dai militari di Bisignano e dopo una segnalazione su una truffa di cui sarebbe stato responsabile uno degli arrestati di oggi, e ha poi consentito di individuare i componenti del gruppo criminale, tutti italiani e cosentini, che agivano in tutta Italia tramite i principali siti di e-commerce, come Subito.it, Kijiji ed Ebay).

I militari hanno accertato circa una sessantina di raggiri per un danno alle vittime di circa 20 mila euro.

Dalle investigazioni, dunque, è emerso che l’organizzazione sarebbe stata organizzata e strutturata e con una ben definita ripartizione dei compiti: dall’incaricato alla pubblicazione degli annunci sui principali siti di e-commerce, all’addetto alle trattative telefoniche (con tanto di accento lombardo per convincere i malcapitati della genuinità dell’interlocutore), fino ad arrivare all’autista per accompagnare gli altri a prelevare il denaro.

Tutti gli indagati sarebbero stati ben consapevoli delle modalità operative e delle finalità illecite del gruppo condividendone gli scopi ed i metodi.

Un “disegno”, pertanto, architettato nei minimi dettagli per soddisfare le esigenze economiche di tutti gli appartenenti, tre dei quali, tra l’altro, percepivano anche il Reddito di cittadinanza, motivo per il quale sono state informate le autorità competenti affinché gli venga revocato.

A tal proposito, in una delle conversazioni captate dagli investigatori, uno degli indagati, parlando del denaro disponibile per le varie esigenze personali e familiari, affermava proprio in merito al beneficio che: “… ora devi finire questi (soldi, ndr) del reddito di cittadinanza e poi ti metti a lavorare…”, affermazione cui seguirono delle risate da parte di entrambi gli interlocutori.

IL “MODUS OPERANDI”

La strategia operativa, ben collaudata, era sempre la stessa e si sviluppava così: si reperivano dapprima delle immagini di annunci reali di vendita di veicoli di interesse storico e dai siti di e-commerce stranieri (con annesse foto delle vetture e dei relativi documenti di proprietà).

Si pubblicava dunque un altro annuncio e si procedeva alla trattativa telefonica con le vittime, come dicevamo fingendo l’accento lombardo.

Successivamente avveniva l’invio dei dati della Poste-pay su cui effettuare il pagamento e della carta di identità di uno degli arrestati, che in passato aveva vissuto a Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo.

Poi si passava ad alla pressione psicologica sulle vittime per indurle a versare subito un acconto di qualche centinaia di euro, a titolo di caparra, simulando la presenza di numerosi altri potenziali acquirenti.

L’annuncio sul web, una volta ricevuta la caparra, veniva così tolto dai siti per convincere la vittima della serietà del venditore e del buon esito della trattativa. Infine, avveniva immediatamente il prelievo del denaro contante, dopodiché i malviventi si rendevano irreperibili.

Nella gran parte delle truffe l’incaricato alle trattative faceva intendere di essere particolarmente prudente nell’approccio con i potenziali acquirenti, in quanto in diverse occasioni era stato “… fregato da alcuni farabutti ...”, affermava, e come sarebbe accaduto nel caso di una finta consegna di un mezzo pesante in Trentino Alto Adige.

Nello specifico, facendo intendere di dover sostenere le spese per portare il mezzo in visione al potenziale cliente, i malviventi si sarebbero fatti versare 250 euro di anticipo per il trasporto a domicilio, ma una volta incassato il denaro sparirono.

TRUFFATORI CON UNA COSCIENZA?

In un’altra circostanza, invece e come accennavamo all’inizio, i truffatori si sarebbero detti quasi “... dispiaciuti ...per aver raggirato una vittima che, pur di accaparrarsi un motociclo in vendita, dapprima aveva fatto parlare il figlio (che sarebbe stato il destinatario del regalo) con il finto venditore e successivamente si sarebbe messo in viaggio percorrendo quasi 500 km pur di comprare il mezzo.

I sodali commentarono allora l’accaduto dicendo che “… era un peccato che si faceva tutti quei kilometri per nulla e che era il caso di richiamarlo e dire che il mezzo era stato venduto e di tornare indietro, ma non prima di aver prelevato le 200 € di caparra…”.

Infine, per tutti gli appartenenti al gruppo la consumazione delle truffe doveva intendersi come una sorta di vero e proprio “lavoro”, tanto è vero che il presunto leader e promotore del sodalizio, in più circostanze, veniva chiamato “capo” o “datore di lavoro”.

Paradossalmente, quando gli affari, poi, non andavano bene, commentavano dicendo che “... il lavoro andava male e che se gli affari continuavano ad andare male dovevano andare a rubare...”.

La dimostrazione più evidente della consapevolezza dell’“impiego stabile” nell’attività delle truffe on line si potrebbe desumere, anche, da una conversazione riferita dagli inquirenti e nella quale una delle indagate raccontava al marito, anch’egli coinvolto e considerato il promotore dell’associazione per delinquere, che la loro figlia minorenne aveva dovuto fare dei disegni a scuola raffiguranti le attività che facevano in famiglia.

La bambina, allora, aveva raffigurato il padre mentre era seduto in casa a lavorare sodo al computer. Venendo a conoscenza di questo dalla moglie, l’uomo aveva risposto serafico: “…io vendo…compro…vendo… che c’è di male…non vado in ufficio… però faccio sempre al computer…non faccio nulla di male.

DALL’IP DEL COMPUTER SI È RISALITI AI MALVIVENTI

Nel corso delle investigazioni i militari, anche grazie all’importante aiuto del personale della sezione cosentina della Polizia Postale della Calabria, sono riusciti a risalire, tramite l’indirizzo IP (internet protocol), al personal computer utilizzato dal gruppo criminale per perpetrare le diverse truffe.

Durante le perquisizioni eseguite contestualmente agli arresti, la Polizia Postale, insieme ai Carabinieri di Rende, ha così sequestrato il pc ed i telefoni cellulari in uso agli indagati.

“NON SUONATE AL CITOFONO, VINCENZO O LORENZO NON ABITANO QUI”

Un caso emblematico uscito fuori nel corso dell’indagine è quello di un cittadino del comune di Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, che disperato era stato costretto ad appendere fuori dal citofono un cartello con su scritto: “non suonate, se cercate Vincenzo o Lorenzo non abitano qui!

In diverse occasioni, l’uomo aveva infatti ricevuto innumerevoli visite di persone che si presentavano per vedere i veicoli messi in vendita e, ancora peggio, dalle vittime delle truffe che con toni accesi si rivolgevano all’attuale proprietario dell’abitazione, la cui unica sfortuna era quella di vivere allo stesso numero civico dove in passato aveva risieduto uno dei malviventi, come indicato nella vecchia carta di identità che quest’ultimo era solito inviare via WhatsApp alle vittime per fornire loro garanzie sulla serietà dell’affare.

Una di queste vittime, infine, fortemente risentita per quanto subito, e per vendetta ha anche effettuato un acquisto su un altro sito di e-commerce utilizzando il nominativo ed il documento a suo tempo ricevuto dal truffatore, e i dati relativi alla Poste Pay da questo utilizzata.