In libreria “Stidduzzo 1908” il primo romanzo di Simone Carullo
Si intitola “Stidduzzu 1908 – Il figlio delle Stelle”, edito dalla Casa Editrice Leonida di Reggio Calabria, il primo romanzo scritto da Simone Carullo. Il libro, a metà strada tra leggenda e fantasia, racconta la storia di un giovane pellarese vissuto nei primi anni del ‘900 che, secondo la tradizione orale locale ripresa in un articolo a cura di Emilio Roccabruna e pubblicato su “Calabria Sconosciuta”, avrebbe preconizzato il terribile Terremoto del 1908.
Soprannominato così perché trascorreva le sue notti nella contemplazione assorta delle stelle, Stidduzzu per questo stesso fatto venne emarginato e umiliato dai suoi compaesani, gli abitanti di un borgo spezzato in due tra il quartiere marinaro e l’area rurale incapaci di comprendere la profondità del suo animo. Stidduzzu è dunque considerato un pazzo o, più banalmente, lo “scemo del paese” e pertanto il suo monito, il suo grido disperato d’allarme, viene ignorato.
Il romanzo è però ambientato a cavallo del nuovo millennio, infatti ripercorre la storia di Stidduzzu attraverso gli occhi e le azioni di due adolescenti a noi contemporanei, studenti della Scuola Media “Don Bosco”, i quali, introdottisi per gioco in un rudere della campagna pellarese, trovano le lettere che quasi un secolo prima Stidduzzu scriveva alla madre defunta. I due conducono dunque una rocambolesca indagine, alla stregua di goonies nostrani, guidati dalle parole e dalle allusioni di Stidduzzu, nel tentativo di scoprire chi era il personaggio misterioso, celato dietro un vezzeggiativo così bizzarro, che scriveva alla madre lettere colme di dolore.
Stidduzzu è il “figlio delle stelle” perché nella sua osservazione assidua degli astri avvia un dialogo mistico e interiore con l’amata madre. Nondimeno, il suo è anche un tentativo di interrogare il cielo sul perché gli abbia affidato l’immane fardello di conoscere il futuro pur non essendo in grado di comunicarlo alla sua gente.
“Stidduzzu 1908 – Il figlio delle Stelle” è quindi un libro che parla di solitudine, di emarginazione, di impossibilità comunicativa ed insieme della sordità dell’uomo, ma - nella misura in cui la storia segue le vicende dei due giovani studenti - è un libro che parla di amicizia, di speranza e d’avventura. Sullo sfondo la Pellaro di fine anni ‘90, quando ancora aveva una sua identità sociale e culturale, ed esisteva al netto dei palazzi, del catrame, del pattume malavitoso (e non) che ne infama il nome.
Si tratta dunque di una storia che parla di ultraterreno, nel dialogo soprannaturale di Stidduzzu con l’universo siderale, e di terreno, nel racconto del terribile Terremoto del 1908 e della devastazione fisica e morale che comportò.