Omicidio Cordì. Lo tramortirono e gli diedero fuoco: in carcere moglie, figlio e amante
C’avrebbe provato già una prima volta, ovvero quando nell’aprile del 2016 avrebbe addirittura tentato di avvelenare il compagno. Poi - almeno stando alla ricostruzione degli inquirenti - un secondo tentativo di farlo fuori, questa volta riuscito.
È così che nella tarda serata dell’11 novembre dell’anno scorso, con l’inganno, la donna avrebbe dapprima condotto la vittima in località Scialata, del comune di San Giovanni di Gerace e, poi, con l’aiuto del figlio e dell’amante, l’avrebbe tramortito, cosparso di benzina e poi datogli fuoco mentre era all’interno della sua autovettura, una Fiat 16.
Questa la conclusione a cui sono arrivati i carabinieri della Compagnia di Roccella Jonica che hanno indagato per ricostruire uno dei fatti di sangue ritenuto tra i più efferati avvenuti nella locride.
Parliamo dell’omicidio di Vincenzo Cordì, il cameriere di Marina di Gioiosa Jonica, nel reggino, il cui corpo venne ritrovato carbonizzato, quasi tre mesi fa, nella vettura della moglie (QUI).
Allora gli inquirenti pensarono dapprima ad un suicidio, ipotesi su cui la compagna avrebbe contato si indirizzassero proprio le indagini, cioè cercando di far credere che l’uomo si fosse ucciso durante un periodo di depressione che stava attraversando.
Ma i militari non sono caduti nel tranello: gli elementi raccolti a suo tempo dalla Sezione Rilievi Scientifici del Reparto Operativo di Reggio Calabria, le risultanze del medico legale e soprattutto il fiuto investigativo, da subito hanno fatto pensare si trattasse di un omicidio in piena regola.
Così stamattina, al termine delle investigazioni portate avanti con il coordinamento della Procura di Locri, i carabinieri di Roccella hanno fatto scattare le manette ai polsi di tre persone: la moglie di Cordì ed il figlio e l’amante di quest’ultima, ritenuti appunto come gli autori del delitto (QUI).
Si tratta in particolare di Susanna Brescia, disoccupata 43enne con precedenti di polizia per reati contro la pubblica fede e il patrimonio; di Francesco Sfara, 22 anni, nato da un precedente matrimonio della donna, disoccupato e anche lui con precedenti di per reati contro il patrimonio; e di Giuseppe Menniti, 41 anni, operaio pregiudicato per stupefacenti e con precedenti contro la pubblica fede, legato appunto da una relazione sentimentale con la Brescia.
Per tutti e tre, su ordine del Gip del tribunale di Locri, si sono spalancate le porte del carcere.