Caccia ai furbetti dell’Rdc, smascherati in 18: lo prendeva pure la moglie del boss al 41bis

Reggio Calabria Cronaca

Nemmeno la settimana scorsa la notizia di un centinaio di boss e gregari della ‘ndrangheta che percepivano illecitamente il reddito di cittadinanza (QUI), e scoperti dalle fiamme gialle, ed oggi, un’altra operazione, condotta questa volta dai carabinieri, ha portato a galla un’altra ventina di persone che avevano ottenuto il beneficio e tra le quali spicca addirittura la moglie di un capomafia sottoposto al carcere duro, al 41bis.

L’indagine, denominata “Dike” - prendendo il nome dalla Dea della Giustizia, figura della mitologia greca - è stata portata avanti dai militari della Compagnia di Taurianova, grazie al lavoro delle stazioni dipendenti nei vari comuni della Piana di Gioia Tauro, in particolare Varapodio, Giffone, Molochio, San Martino di Taurianova, Cittanova e Cinquefrondi.

Al setaccio dell’Arma sono stati passati diversi percettori del reddito di cittadinanza, con lo scopo proprio di verificare la regolarità delle procedure attestative e quindi dell’effettivo possesso dei requisiti previsti.

Da qui sono emerse una serie di irregolarità per 18 persone, con un danno erariale complessivo che è stato stimato in circa 50 mila euro. Il tutto è stato di conseguenza segnalato all’Autorità Giudiziaria di Palmi, diretta dal Procuratore Capo Ottavio Sferlazza, e agli uffici Inps competenti che hanno immediatamente interrotto l’elargizione del sussidio.

Nel corso delle verifiche, ed in pratica, gli investigatori hanno fatto emergere varie irregolarità: ad esempio, cittadini che percepivano il reddito ma che lavoravano “in nero” in bar, ristoranti o in cantieri edili; o il gestore di un'officina meccanica del tutto abusiva e con diverse autovetture in attesa; o, ancora, il proprietario di un salone di parrucchiere che non solo percepiva l’Rdc pur lavorando regolarmente ma che si è scoperto avesse chiuso formalmente l’attività quattro anni fa.

Un’altra e frequente tipologia di attestazione falsa ha riguardato la reale residenza e l’indicazione dei componenti del nucleo famigliare, essendo il beneficio connesso anche all’effettivo reddito familiare e non solo del singolo richiedente: dalla cittadina che nata, cresciuta e residente in un’altra regione, nel nord Italia, aveva dichiarato falsamente di vivere in un comune della Piana di Gioia Tauro; a cittadini rumeni che hanno “aumentato” gli anni della residenza in Italia da 2 a 10 così da poter ottenere il “sussidio”.

Tra gli altri, è emerso un pregiudicato locale che non solo avrebbe falsificato il domicilio reale, ma negli atti compilati indicato come residenza un rudere fatiscente e in stato di abbandono, senza servizi e utenze, inserito in un ampio fondo rurale.

O, ancora più complessa, la vicenda che di due coniugi separati da tempo, in cui l’uomo si è visto bocciare più volte la richiesta di reddito di cittadinanza in quanto inserito fittiziamente nel nucleo familiare indicato nei documenti dalla ex moglie, a sua volta richiedente il sussidio.

Purtroppo, anche in queste ultime verifiche dei carabinieri è emerso un caso eclatante in cui il beneficio sociale è stato concesso ad una donna che, nella documentazione prodotta, avrebbe “dimenticato” di segnalare che nel nucleo famigliare non era più presente il marito, un importante boss della ‘ndrangheta in carcere da 6 anni per una condanna definitiva per associazione mafiosa e sottoposto al 41bis.