Traffico illecito di rifiuti sull’asse Calabria Lombardia, arresti e sequestri

Calabria Cronaca

Avrebbe smaltito più di 23mila tonnellate di rifiuti provenienti - su diversi canali - da vari impianti del Nord Italia una organizzazione ritenuta responsabile di traffico illecito di rifiuti e realizzazione di discariche abusive.

Dall’alba di oggi, in Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Calabria e Sicilia, i carabinieri del Noe di Milano, con i colleghi dei Comandi provinciali dei territori interessati, con circa 200 militari impiegati, hanno eseguito un’ordinanza di misura cautelare - emessa dal Gip del Tribunale di Torino su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia - nei confronti dalla struttura.

I carabinieri hanno così portato in carcere sei persone, tre invece sono quelli sottoposti ai domiciliari e sette all’obbligo di firma. A tutti si contestano, a vario titolo, di traffico illecito di rifiuti in concorso e la realizzazione di discariche abusive ubicate in Piemonte, Lombardia e Veneto.

Nel corso delle indagini i militari hanno inoltre sequestrato nove capannoni industriali riconducibili ad aziende operanti nel campo del trattamento dei rifiuti.

Sigilli inoltre a vari automezzi – anche appartenenti a società di trasporto – che sarebbero stati usati nelle attività criminali, per un importo complessivo di circa 3 milioni di euro.

LO STOCCAGGIO NEI CAPANNONI DISMESSI

Gli investigatori ritengono di aver scoperto la rete dedita alla gestione e allo smaltimento illecito dei grossi quantitativi di rifiuti, tra cui indifferenziati urbani e speciali provenienti prevalentemente da varie regioni del Nord.

Le accuse mosse sono quelle di aver stoccato e poi abbandonato i rifiuti in capannoni industriali dismessi, così da creare diverse discariche abusive, localizzate e sequestrate nelle località di Sale (AL), Breda Di Piave (TV), Oltrona San Mamette (CO), Ossona (MI), Cerrione (BI), San Pietro Mosezzo (NO), Pregnana Milanese (MI), Romentino (NO), Caltignaga (NO) e Momo (NO).

Le indagini sono partite dal monitoraggio da parte dei carabinieri per la Tutela Ambientale sul fenomeno degli incendi ai danni degli impianti formalmente autorizzati alla gestione dei rifiuti e di diversi capannoni industriali adibiti a discariche abusive.

Monitoraggio partito nel marzo 2018 dopo un aumento di roghi su tutto il territorio, e che ha portato gli investigatori a ipotizzare la presenza di una attività organizzata per il traffico illecito.

Dalle investigazioni sarebbe quindi emerso che gli incendi non fossero episodi isolati, ma una modalità per lo smaltimento illegale di rifiuti.

Da qui la scoperta dell’organizzazione costituita da diverse persone, alcune delle quali collegate a imprese operanti nel settore, mentre altre sarebbero risultate prive di qualsiasi autorizzazione. Tutti uniti per lo smaltimento di rifiuti speciali e per il conseguimento di un profitto ingiusto.

IL MODUS OPERANDI

Le società coinvolte nell’inchiesta sono due, una di Alessandria a l’altra di Novara. I due titolari, stando alle indagini, sono produttori rifiuti o i primi ricettori dei rifiuti. Si tratta di persone in regola con le autorizzazioni ed interessati al conferimento di grossi quantitativi di rifiuti verso imprese autorizzate, almeno formalmente, a riceverli.

Sono due le operazioni illegali messe in atto dall’organizzazione per gestire il traffico di rifiuti. Nel primo caso, i rifiuti una volta entrati negli impianti della società sotto inchiesta venivano scaricati e stoccati all’interno del sito per poche ore, poi venivano ricaricati su altri mezzi di proprietà di una ditta di “fiducia” e smaltiti abusivamente in alcuni i capannoni industriali. L’organizzazione non faceva altro che trasbordare clandestinamente i rifiuti.

La seconda operazione serviva tecnicamente per ripulire l’attività usando bolle false. Il gestore dell’impianto falsificava i documenti dichiarando che i rifiuti erano stati scaricati e avviati allo stoccaggio, ma in realtà rimanevano sul mezzo. All’autista, anche lui di “fiducia”, era poi rilasciato un documento che attestava falsamente il trasferimento di materiale ottenuto da false operazioni di recupero e/o riciclaggio.

Gli investigatori hanno quindi scoperto il modus operandi dell’organizzazione che avrebbe usato un impianto autorizzato dagli enti preposti, poi in realtà si serviva di capannoni acquisiti tramite contratti di locazione, che privi di qualsiasi autorizzazione, venivano usati come discariche abusive.

I titolari delle società presentavano allo Sportello unico attività produttive un’istanza per ottenere le autorizzazioni per recuperare rifiuti non pericolosi. Per rendere utilizzabili i capannoni la rete da una parte pagava i proprietari delle strutture, spesso all’oscuro delle attività che vi si svolgevano all’interno, dall’altra pagavano del denaro, spesso in contanti o su carte prepagate per acquistare strumenti.

In molti casi posizionavano muletti per poter scaricare i rifiuti gestiti e “impilarli” al fine di aumentare le capacità di stoccaggio nel sito illegale. Muletti che venivano da un sito illegale all’altro, la cui proprietà è a volte condivisa tra gli intermediari nell’acquisizione della disponibilità dei siti e i detentori del rifiuti. Inoltre l’organizzazione affidava la movimentazione dei rifiuti nei capannoni dismessi a manovalanza extracomunitaria.

I rifiuti entravano nel circuito illegale con un falso codice dell’elenco europeo dei rifiuti (EER) riferito prevalentemente a “plastica e gomma” oppure a” imballaggi di materiali misti”, che possono quindi essere smaltiti solo in discarica autorizzata o termovalorizzatore.

(ultimo aggiornamento 13:00)