Al carcere di Arghillà la finale del I torneo in memoria di “Emilio Campolo”
Si è disputata venerdì 9 aprile la finale del torneo di calcio a 5 all’interno dell’aria adibita a campo da calcio nel carcere di Arghilla. Intitolato alla memoria del Dott. Emilio Campolo, il torneo, ha rappresentato un percorso di crescita umana e sociale per i detenuti che tanto stavano a cuore al compianto educatore.
Gli ospiti della casa circondariale “Arghillà” hanno organizzato un torneo per ricordare una figura di estremo valore e professionalità che nel carcere di Reggio Calabria ha tracciato una parte di storia. Si è osservato un minuto di silenzio e poi via a battere il calcio d’inizio.
Un momento commovente e significativo, sostiene la garante, ma soprattutto di temporanea normalità quello vissuto oggi presso l’Istituto “Arghillà” di Reggio Calabria. Lo sport in carcere, dice l’Avv. Russo, serve a combattere depressione, alienazione, claustrofobia, tensione, aggressività, disturbi psicosomatici e della personalità, sintomi allucinatori, sedentarietà e inattività, ad aumentare l’autostima. A livello sociale, oggi più che mai, serve a recuperare il senso di amicizia, solidarietà, il “gioco di squadra”, a sviluppare l’autodisciplina seguendo le regole, a recuperare valori come la legalità, la lealtà e la cooperazione.
Il calcio, ma più in generale lo sport e l’attività fisica negli istituti penitenziari tutelano il pieno benessere psico-fisico e sociale dei detenuti, i valori etici e più semplicemente pragmatici dello sport quali rispetto di sé, degli altri, assumono operativamente un significato dal sapore immediato: riuscire a giocare e godere di quel senso di creatività e libertà che è insito nel gioco stesso. Lo sport può rappresentare per ciascun detenuto uno strumento di crescita culturale e soprattutto umana, un momento, di confronto con origini culture e nazionalità diverse.
Sperimentare pragmaticamente l’attività sportiva attraverso il gioco, nella sua essenzialità, significa mettere in atto il rispetto delle regole, di sé, degli altri, vissute non come limite alla propria libertà individuale ma come autentico plus valore di condivisione e tolleranza.
La sintesi della giornata, per la garante, può essere meglio rappresentata dalle parole di Don Luigi Ciotti “Questo è l’imperativo: riconsegnare alla società una persona responsabilizzata e cosciente, capace a sua volta di restituire positività. Ciò è possibile se quella persona in carcere non si è ammalata, avvilita, incattivita, se davvero il territorio e le istituzioni riescono ad accogliere e ad essere comunità, non solo insieme di regole, pur necessarie”.
“Sento di avere delle grandi responsabilità, ma - conclude la Garante - oggi ci sono tutte le condizioni per fare bene. C’è una grande sinergia tra le istituzioni del territorio, con l’amministrazione penitenziaria, la polizia penitenziaria e con il Garante regionale Avv. Agostino Siviglia che monitora costantemente le realtà carcerarie calabresi tutte. Questa è la Calabria che vogliamo rappresentare, una regione inclusiva, che abbia il coraggio di cambiare passo e farlo in scienza e coscienza, con dedizione, abnegazione, umanità e giustizia”.