Il traffico di rifiuti a Milano con l’approvazione della ‘ndrina: arrestati due imprenditori

Calabria Cronaca

I rifiuti si “trasformavano” in cemento e i costi per lo smaltimento venivano atterrati, ottenendo preventivamente il consenso della ‘ndrina.

È questo quanto scoperto dai Carabinieri Forestali di Milano e Lodi, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia, che questa mattina hanno dato esecuzione ad un’ordinanza degli arresti domiciliari nei confronti di Gianarnaldo Bonilauri, 72 anni, titolare della cava di Zibido San Giacomo; e di Giuseppe Molluso, 42 anni detto “Gesù”.

Quest’ultimo è il figlio del presunto boss Giosofatto, condannato a 9 anni e 3 mesi nella maxi inchiesta “Infinito-Crimine” ed attualmente in carcere.

In concomitanza degli arresti è scattato inoltre il sequestro del 100% delle quote di due società riconducibili ad entrambi gli indagati.

In particolare, per una di queste, la EcolService Srl è stato ordinato il sequestro della cava e dell’impianto di trattamento di rifiuti nella zona Sud-Ovest di Milano oltre che di somme per poco più di 354 mila euro.

Inoltre, sempre nell’attività di oggi, i carabinieri avrebbero recuperato una sorta di “libro mastro” dove erano stati appuntati i lavori in nero che sarebbero stati eseguiti nella cava da almeno vent’anni, cioè sin dall’anno 2000.

L’attività investigativa trae origine da un’altra maxi inchiesta, denominata "Mensa dei poveri", che aveva svelato un’enorme giro di mazzette e tangenti tra politici e imprenditori lombardi, anche lì con il coinvolgimento della malavita.

Secondo gli inquirenti, sarebbero stati i due imprenditori a mettere in piedi un traffico illecito di rifiuti con l'aggravante, contestata nelle misure cautelari, “dell'agevolazione di attività di stampo mafioso”.

Secondo quanto rivelato dalle forze dell’ordine dalle intercettazioni sarebbe emerso che uno dei due fosse il titolare di alcune ditte riconducibili a personalità di spicco dell’organizzazione criminale nota come la “locale di Corsico Buccinasco”.

Lo stesso, sempre secondo gli inquirenti, avrebbe intrattenuto rapporti diretti con i responsabili dell’impianto per definire di volta in volta le modalità illecite di concessione.

I rifiuti, consistenti in materiali di scarto di demolizioni di palazzi in centro a Milano o di altri cantieri, venivano classificati come cemento, con il relativo codice, così da evitare le analisi chimiche necessarie per il loro corretto smaltimento.

A quel punto, gli inerti venivano mescolati tra loro per ottenere l’aggregato miscelato, un prodotto che viene poi reinserito nel mercato per altri cantieri, con evidenti potenziali rischi per l’ambiente.

Il traffico illecito – sostengono ancora le forze dell’ordine – sarebbe stato possibile grazie a un accordo con la cava che accettava i rifiuti consapevole della loro falsa classificazione, imponendo però un sovrapprezzo di volta in volta in base ai carichi in ingresso, provenienti soprattutto da cantieri di Milano.

Con questo “modus operandi” si sarebbero venuti a creare dei vantaggi indebiti a favore delle società riconducibili alla criminalità organizzata in termini di costi di gestione dei rifiuti, che permettevano alle ditte di stare sul mercato con prezzi più vantaggiosi per sbaragliare la concorrenza.