Operazione Panamera, cade l’aggravante mafiosa per i fratelli Gioffrè
Cade l’aggravante mafiosa per Domenico e Francesco Gioffrè, accusati di estorsione aggravata appunto dal metodo mafioso e armi.
La seconda sezione della Corte di Cassazione ha infatti accolto il ricorso presentato dai legali dei due, Antonino Napoli e Giuseppe Germanò, e ha quindi annullato la sentenza relativa all’estorsione ai danni di Ivan Cozza. Inoltre ha rigettato o dichiarato inammissibile i ricorsi per il solo Francesco Gioffrè.
La Suprema Corte ha, inoltre, accolto il ricorso del Procuratore Generale avverso l’assoluzione pronunciata dalla Corte di Appello di Torino per gli imputati Antonio Guerra e Luciano Ilacqua per il reato di estorsione aggravata ai danni di Antonio Piperato ed Antonio Guerra per il reato intestazione fittizia.
I ricorrenti oltre al Procuratore Generale e ai due fratelli Gioffrè, erano Antonio Guerra, Francesco Grosso, Francesco Ilacqua, Luciano Ilacqua e Giuseppe Minunno.
I due fratelli sono stati indagati nell’inchiesta Panamera, condotta dalla direzione Distrettuale Antimafia di Torino, ed erano stati arrestati e accusati a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, tentato omicidio, lesioni personali, estorsioni, danneggiamenti, traffico di droga, porto e detenzione di armi ed altro.
I Gioffrè, che si sono trasferiti da Amato di Taurianova a Chivasso, sono legati da vincoli di parentela con i Gioffrè di Seminara, essendo i nipoti del defunto Vincenzo Domenico, detto “Ringo”, e cugini dei Gioffrè imputati nel processo Artemisia (QUI).
Il giudice dell’udienza preliminare, nel corso del processo che si è tenuto con il rito abbreviato, ha accolto le argomentazioni degli avvocati Napoli e Germanò, e ha ritenuto insussistente il delitto di associazione mafiosa in quanto non si trattava di una locale o una ‘ndrina riconosciuta dal Crimine di Polsi.
In riferimento invece al termine “bastarda”, utilizzato da terzi nel corso delle conversazioni intercettate, per individuare il gruppo in cui sarebbero inseriti i due Gioffrè, sarebbe stato riferito “in senso atecnico” rispetto alle acquisizioni che individuavano compagini mafiose e di matrice ‘ndranghetista non riconosciute dal Crimine di Polsi.
Per il gup il gruppo di persone di cui avrebbero fatto parte i fratelli non avrebbe goduto di fama criminale e di conseguenza non avrebbe potuto generare la forza di intimidazione tipica delle locali di ‘ndrangheta.
La Corte di Appello ha poi rigettato il ricorso della Procura avverso l’assoluzione per il reato associativo e, ha condannato i Gioffrè per i reati di estorsione aggravata dal metodo mafioso e il solo Francesco per armi.