Condannato all’ergastolo per l’omicidio de “Il Cinese”, assoluzione definitiva per Curciarello
Nella giornata di ieri si è sostanzialmente conclusa la lunga trafila giudiziaria che da circa quindici anni ha gravato sulle spalle e sulla vita di Michele Curciarello, di Siderno.
Dopo la sentenza di annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria per un nuovo giudizio di appello, emessa dalla Cassazione il 7 ottobre 2021, del provvedimento della Corte di Assise di Appello del 18 marzo 2019 col quale era stata confermata la condanna all’ergastolo, già pronunciata in primo grado nei confronti di Curciarello, accusato di essere l’autore materiale dell’omicidio di Salvatore Cordì detto “il Cinese”, ucciso a Siderno il 31 maggio 2005, il nuovo processo instaurato in Appello ha avuto come epilogo l’assoluzione dell’uomo, oramai di fatto definitiva, atteso che circa un mese fa nella sua arringa finale il Procuratore Generale ne aveva chiesto l’assoluzione, ragion per cui vi è oramai concreta ragione di credere che non sarà evidentemente proposto alcun ulteriore ricorso per Cassazione.
Già sei anni fa, proprio nell’ottobre del 2015, la Suprema Corte aveva annullato la stessa condanna all’ergastolo comminata a all’imputato, in accoglimento del ricorso promosso dal suo collegio difensivo, formato dagli Avvocati Salvatore Staiano e Cosimo Albanese, sul principale presupposto che lo stub a suo tempo eseguito sull’indagato nell’immediatezza dell’evento criminoso sarebbe poi risultato inquinato, rinviando ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria per una nuova decisione.
Il nuovo ricorso degli Avvocati Staiano e Albanese, presentato nel luglio del 2020 ed integrato con motivi aggiunti nel mese di settembre del 2021, aveva portato, come detto, all’annullamento anche della nuova sentenza di appello confermativa della condanna all’ergastolo a carico dell’imputato, segno evidente che i difensori erano stati in grado di cogliere perfettamente lo spirito del precedente pronunciamento di rinvio della Suprema Corte in ordine ai punti salienti della vicenda, ossia quello stub eseguito nei riguardi di Curciarello la sera dell’omicidio Cordì, in maniera del tutto approssimativa e disattendendo completamente i principali e rigorosi protocolli scientifici dettati in materia dalle più importanti Istituzioni internazionali.
Con il ricorso principale, difatti, era stato innanzitutto posto rilievo dalla difesa al fatto che, secondo la sentenza di annullamento, il Giudice del rinvio avrebbe dovuto “riesaminare il quadro probatorio e verificare se esso, alla luce dei rilievi sopra esposti, alle conclusioni cui si è giunti per i correi ed a eventuali accertamenti, sia dimostrativo della responsabilità dell’imputato”.
La Suprema Corte aveva precisato, inoltre, che: “La tesi sostenuta dalla difesa è che la mancata esecuzione del cd stub bianco, e cioè quell’accertamento preliminare che deve essere eseguito dall’operatore per verificare che egli stesso non sia portatore di residui di sparo idonei ad inquinare il risultato del test, abbia compromesso i risultati dello stub. Questa tesi trova il suo referente scientifico in numerosi studi che hanno riscontrato la possibilità di contaminazione cd innocente dovuta sia all’ambiente in cui il prelievo è condotto sia agli stessi operatori. A questo fine, numerosi protocolli operativi, tra cui il ricorrente cita quello applicato dall’Arma dei carabinieri, prevede che gli operatori addetti ai prelievi: Debbono operare dopo essersi lavati mani e avambracci e dopo aver indossato guanti e tute monouso, da cambiare prima di prelievi su soggetti o oggetti diversi (nel caso in esame come si legge alle pag. 755 e 756 della sentenza di primo grado, uno degli operanti prima dei prelievi aveva maneggiato armi e non indossavano il camice monouso); Debbano effettuare uno stub di controllo negativo, detto “bianco”, per assicurare l’assenza di possibili fonti di contaminazione; Non debbano consentire il contatto diretto vittima indagato; Non debbano trasportare le persone da sottoporre a prelievi su autovetture potenzialmente contaminate da residui di sparo; Non debbano effettuare tamponamenti su sospettati in aree potenzialmente contaminate da particelle GSR. Corte di secondo grado, nel disattendere la necessità dello stub bianco, ricostruisce dettagliatamente la catena di custodia e conservazione dei reperti e ritiene documentata “le corrette modalità di repertamento e conservazione dei reperti”. Tuttavia, è la stessa Corte che riconosce implicitamente che qualcosa non ha funzionato perché all’interno della scatola che conteneva i Kit dei prelievi vi erano due particelle da sparo. Ma, anziché prendere posizione sul punto e spiegare le cause della contaminazione, la Corte lo ha deliberatamente bypassato (“non era compito della corte di assise di Locri risolvere il problema generale dell’inquinamento, come fenomeno potenzialmente pernicioso) osservando che sugli indumenti in sequestro – non correttamente imbustati- non vi erano particelle peculiari e che “nel caso concreto e sulla questione particolare” i reperti erano esenti da contaminazione. Siffatto ragionare è illogico. Se gli indumenti esaminati non presentano particelle peculiari da sparo e se il Kit dei prelievi sono integri è indispensabile spiegare da dove provengono le particelle trovate sulla scatola. A prescindere dalla ipotesi (in astrato formulabili, è evidente che la catena di custodia non è stata corretta e, a tacere dello stub bianco, si è in concreo verificata quella contaminazione innocente che toglie valore dimostrativo allo stub, non potendosi ragionevolmente escludere che lo stesso inquinamento si sia riprodotto in altri momenti. (…) Non può trovare applicazione nel caso in esame la regola di diritto ripresa dalla Corte (sent. 49948/2004 afferente ad un caso in cui le irregolarità tecniche avevano effettivamente minato l’attendibilità del risultato) perche’ nel caso in esame e’ proprio l’attendibilita’ del risultato a venir meno, tenendo conto di quanto gli stessi esperti sentiti nel processo hanno affermato, ovverosia che il rischio da inquinamento secondario pur definito “quasi trascurabile” “minimo” “in astratto ipotizzabile” non era a fortiori escluso con certezza. Se il sapere scientifico costituisce un indispensabile strumento al servizio del giudice, la scientificita’ di un enunciato si basa non soltanto sulla correttezza e sull’affidabilita’ delle basi scientifiche del giudizio, ma anche su l’ovvia confluenza che il venir meno “della necessaria correttezza metodologica nelle fasi di raccoltaconservazione ed analisi dei dati esaminati, tale da preservare integrita’ e genuinita” rifluisce sull’esito della prova che ne risulta compromessa”.
A fronte delle indicazioni che la Suprema Corte aveva fornito nel suo provvedimento di rinvio, era stato rilevato dagli Avvocati Albanese e Staiano nel nuovo atto di gravame che era da ritenersi assolutamente inconferente e paradossale l’affermazione del Giudice del rinvio, il quale, per “salvare” l’esito dello stub qualificandolo “riscontro”, ha ritenuto “ininfluente la mancata esecuzione dello stub bianco al momento del prelievo” in quanto avrebbero dovuto ritenersi sufficienti le cautele svolte dagli operatori, così come irrilevante veniva dichiarata la contaminazione della scatola attesa la integrità delle buste contenenti i reperti, tacendo il fatto però che le buste originarie, aperte al momento dell’avvio delle operazioni e distrutte poiché non più utilizzabili, non avrebbero potuto più essere oggetto di verifica circa un’avvenuta contaminazione ab origine.
Era stato anche opportunamente evidenziato in ricorso che la Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria aveva omesso di spiegare nel suo pronunciamento, per come invece richiesto esplicitamente dalla Suprema Corte in sede di rinvio, quali siano state le cause della contaminazione della scatola contenente le buste dei reperti, e ciò alla luce del fatto che, innanzitutto, non erano stati assolutamente seguiti i protocolli di sicurezza minimi da parte degli operatori in occasione dei prelievi stub nei confronti di Curciarello e Antonio Martino, né era stato successivamente possibile eseguire lo stub bianco all’interno delle buste originarie in cui erano stati riposti i reperti prelevati in data 31 maggio 2005 poiché distrutte in quanto inutilizzabili a seguito della loro apertura all’avvio delle operazioni tecniche presso il Servizio di Polizia Scientifica di Roma in data 15 settembre 2005, potendosi ampiamente concludere, dunque, per una verosimile ed incontestabile contaminazione innocente dei reperti stessi nel momento in cui venivano eseguiti i prelievi all’interno del Commissariato di P.S. di Siderno.
Dunque, il nocciolo della questione era apparso alla difesa assolutamente chiaro per come esposto dalla Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio – che aveva ravvisato una “insufficiente motivazione” del provvedimento impugnato, disponendo, pertanto, il riesame del quadro probatorio da parte del nuovo Giudice territoriale e la verifica se esso, alla luce dei rilievi mossi, unitamente alle conclusioni cui si era giunti per i correi ed agli eventuali nuovi accertamenti svolti, potesse essere dimostrativo della penale responsabilità dell’imputato -, atteso che: non era stato eseguito lo “stub bianco” al momento della acquisizione dei reperti da parte degli operatori della polizia scientifica del Commissariato di P.S. di Siderno, dato assolutamente oggettivo ed insuperabile ammesso anche dai medesimi testi del P.M. (ufficiali di p.g. operanti) durante il giudizio di merito, i quali dichiararono addirittura di disconoscere tale pratica scientifica, peraltro sino ad allora mai utilizzata nelle loro indagini.
Vista anche la mancata esecuzione dello “stub bianco” aveva, pertanto, verosimilmente potuto compromettere, alla luce delle emergenze processuali (scatola contenente i reperti risultata contaminata) i risultati dello stub eseguito nei confronti dell’imputato.
Inoltre, il rischio di contaminazione secondaria delle prove non poteva difatti essere escluso con certezza, così come emerso dall’esame degli esperti nel corso del processo di merito; la avvenuta contaminazione della scatola contenente le buste dei reperti non era stata assolutamente spiegata dalla Corte territoriale, la quale tuttavia aveva il dovere di fornire una valida giustificazione in merito nella sua motivazione.
E poi, La catena di custodia dei reperti non è stata corretta e, in assenza dell’esecuzione dello “stub bianco” all’atto della raccolta dei reperti, è evidente che in concreto si è verificata una “contaminazione innocente” che toglie ogni valore dimostrativo allo stub eseguito nei riguardi di Curciarello, poiché non si può ragionevolmente escludere che lo stesso inquinamento rilevato all’interno della scatola si sia riprodotto in altri momenti, compreso il momento della raccolta dei reperti.
Infine, La ridetta metodologia dello “stub bianco” non era affatto una pratica sconosciuta, anzi era già all’epoca indicata in numerosi studi scientifici in cui si riscontrava, in difetto, la concreta possibilità di “contaminazione innocente” delle prove sia da parte dell’ambiente in cui essa veniva svolta che dagli stessi operanti; e per concludere la pratica dello “stub bianco” era già all’epoca contemplata anche in numerosi protocolli operativi destinati agli agenti operanti, tra i quali quello applicato in Italia dall’Arma dei Carabinieri.
“Si può pertanto affermare con profonda soddisfazione e gioia – affermano i suoi legali - che, così come confermato anche e soprattutto dalle due sentenze consecutive di annullamento della condanna all’ergastolo a carico di Curciarello emesse dalla Corte di Cassazione, nella giornata di ieri la Corte d’Assise di Appello di Reggio Calabria abbia sposato in pieno la decisiva tesi difensiva …, segnando così il definitivo successo di un iter giudiziario lungo e deleterio nei riguardi di una persona assolutamente innocente e che a causa di una incomprensibile insistenza, anche di fronte alle evidenze scientifiche, di una Corte territoriale impregnata di inconcludente giustizialismo ha subito irreparabili danni di carattere morale, psicofisico ed economico per oltre quindici anni, condizioni assolutamente inaccettabili nel momento in cui si ha in mano la vita di una persona, peraltro completamente innocente.