‘Ndrangheta: Blitz della Dia, sequestro di beni nel vibonese
La Direzione Investigativa Antimafia di Catanzaro ha sequestrato beni mobili ed immobili per un valore complessivo di oltre un milione di euro riconducibili a Gerardo Macrì, 51enne di Tropea, ritenuto vicino a personaggi di spicco delle cosche mafiose della provincia vibonese.
IL PROVVEDIMENTO di sequestro è stato adottato dal Tribunale di Vibo Valentia ai sensi della normativa antimafia, su proposta del Generale dei Carabinieri Antonio Girone, Direttore della Direzione Investigativa Antimafia, ed ha interessato, oltre a diverse unità immobiliari nella rinomata località turistica, rapporti finanziari e contratti assicurativi, anche il compendio aziendale della società che gestisce il “Bar Macrì”, ubicato nella centralissima piazza Vittorio Veneto a Tropea.
GERARDO MACRI’, che annovera diversi precedenti di polizia, è stato arrestato il 18 settembre 2006 nell’ambito dell’operazione denominata “Odissea”- per il reato di ricettazione e con l’aggravante di aver agevolato le famiglie mafiose dei “La Rosa” di Tropea e dei “Mancuso” di Limbadi.
Sebbene sia stato poi assolto, nel provvedimento di sequestro appena eseguito si legge: ”…dalla lettura (della sentenza di assoluzione) si desumerebbe l’esistenza di una stabile relazione con La Rosa Antonio, pur non essendo stata provata la responsabilità del Macrì… Da quanto sopra esposto potrebbe ragionevolmente dedursi che il Macrì non si sarebbe limitato a gestire un’attività economica riconducibile ad altro soggetto, ma avrebbe anche amministrato le ingenti disponibilità finanziarie altrui per realizzarla ed avrebbe provveduto alla sua conseguente manutenzione…. ”.
LA VICENDA PENALE richiamata dai giudici della Prevenzione, in particolare, riguarda la gestione di una nota discoteca per la quale il “… La Rosa aveva creato una situazione di apparenza giuridica, conferendo fittiziamente a Macrì i capitali confluiti nella cogestione della discoteca….”. Anche per detto episodio, La Rosa Antonio ha riportato, all’esito del secondo grado di giudizio, una condanna ad otto anni di reclusione.
La D.I.A. di Catanzaro ha eseguito una complessa attività di analisi economico/patrimoniale che ha riguardato, per un arco temporale compreso tra il 1992 ed il 2009, tutti i cespiti in qualunque modo riconducibili al MACRI’, allo scopo di documentare, tra l’altro, la netta sproporzione tra il reddito dichiarato ai fini delle imposte dirette e le attività economiche espletate.
Al riguardo, il Tribunale ha evidenziato come: “… gli investimenti operati dal nucleo familiare del proposto siano notevolmente superiori rispetto alla capacità di spesa dello stesso nucleo familiare. Ad avviso del Collegio esiste quindi una notevole sproporzione tra i beni oggetto della proposta ed il reddito dichiarato ed il genere di attività svolta dal proposto e dai suoi conviventi…..i beni indicati costituiscono, comunque, elementi indicativi di una disponibilità economica, che coincide temporalmente con le illecite attività poste in essere nelle forme di cui all’art. 416 bis, nell’ambito della commissione di reati contro la persona e di altri reati contro il patrimonio e del riciclaggio dei redditi illeciti che ne sono scaturiti. Ne va pertanto disposto il sequestro potendosi ragionevolmente ritenere, rebus sic stantibus, che tali beni costituiscano il frutto o il reimpiego delle predette attività delinquenziali.”