Sanità. Niente rimborsi Covid, strutture private diffidano la Regione e minacciano cause
Le associazioni Uneba, Anaste, Andiar, Aiop, Aris, Agidae, Unindustria Calabria (Sezione Sanità), Ccrea, a cui fanno riferimento le strutture sanitarie e sociosanitarie accreditate private, erogando prestazioni assistenziali e riabilitative in regime ospedaliero, residenziale, semiresidenziale e domiciliare, nella rete territoriale regionale, hanno inviato una ennesima diffida al commissario alla Sanità e presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto.
Le strutture, lamentano che dopo tre anni di pandemia non abbiano ricevuto neanche un euro per la presa in carico dei pazienti Covid e non abbiano ricevuto alcun riconoscimento per il mancato fatturato, riconducibile alle ordinanze di chiusura e alle restrizioni imposte per la limitazione dei ricoveri dovuti all’isolamento.
Sia durante l’emergenza che tutt’ora in corso di attività, i pazienti Covid già in carico alle diverse strutture private non sono mai stati trasferiti presso le strutture pubbliche ed anzi, in alcuni casi, lo stesso paziente già Covid è entrato in struttura privata accreditata anziché in quella pubblica oppure i presidi ospedalieri pubblici non hanno inteso ricoverare gli utenti ma li hanno rinviati in struttura.
“I pazienti affetti da Covid - anche asintomatici e con sintomi lievi - ricoverati presso nelle strutture private accreditate – spiegano le associazioni di categoria - non sono stati e non vengono tuttora presi in carico dal presidio ospedaliero pubblico, ad accezione dei casi gravi e, pertanto, rimanendo presso le varie strutture, si è venuto a determinare un aumento di costi in termini di minore produzione dovuta alle nuove regole di assistenza sanitaria volte ad evitare il rischio di contagio tra gli ospiti e agli adeguamenti strutturali ed organizzativi secondo le prescrizioni imposte dalla normativa emergenziale di riferimento. Si tratta di costi non rientranti nella remunerazione annualmente contrattualizzata in base alle tariffe vigenti”.
"È evidente – si legge pertanto nella diffida - come tutte le strutture operanti sul territorio abbiano diritto al rimborso dei maggiori oneri sostenuti negli anni 2020, 2021 e 2022 per avere reso prestazioni sanitarie e sociosanitarie non coincidenti con gli accordi contrattuali stipulati in relazione alla tariffa vigente”.
Le strutture della sanità convenzionata intimano quindi alla Regione di “procedere al riconoscimento immediato di tutti i ristori previsti dalle disposizioni nazionali vigenti a titolo di minor fatturato e rimborso dei maggiori costi sostenuti per l’acquisto dei Dpi, per la sanificazione e la prevenzione del contagio all’interno delle strutture siccome imposti dagli interventi normativi nazionali e regionali vigenti”.
La Regione viene poi richiamata ad una “puntuale e corretta esecuzione” del decreto ministeriale del 12 agosto 2021 e quindi al “necessario adeguamento del vigente sistema tariffario mediante pubblicazione di apposito atto normativo in esecuzione della legge nazionale. Il tutto per come quantificato nelle richieste già pervenute alle spettabili amministrazioni in indirizzo per il tramite di comunicazioni ufficiali da parte delle Associazioni di categoria”.
Secondo i calcoli delle associazioni di categoria calabresi, i mancati ristori ammontano complessivamente a circa dieci milioni all’anno per tre anni, oltre interessi.
“Le Regioni Marche, Puglia, Campania, Emilia Romagna e Lombardia – evidenziano ancora - hanno già provveduto ai ristori Covid anche in ossequio a quanto disposto dal decreto legislativo 34 del 19 maggio 2020, convertito con modificazioni nella legge 77/2020, nonché dal Dpcm del 23 luglio 2020. La Regione Toscana proprio di recente ha stanziato un impegno di 20 milioni alle Rsa per la presa in carico di pazienti positivi al Covid”.
Le associazioni chiedono pertanto alla Regione Calabria di stabilire con urgenza una tariffa aggiuntiva o un incremento tariffario corrispondente alla diversa prestazione sanitaria resa e ai diversi requisiti strutturali ed organizzativi richiesti dall’amministrazione sanitaria. In caso contrario, minacciano di fare causa all’ente.