Reggio. Alla Galleria Toma la mostra di Enrico Meo inaugura la “Sottogiudecca”
Domani, sabato 27 maggio, in occasione dell’inaugurazione della mostra “Oltre le scale. Bagliori nel buio” di Enrico Meo, la Galleria Arte Toma presenta “Sottogiudecca”, il nuovo spazio espositivo e performativo interamente dedicato al contemporaneo a Reggio Calabria.
Sottogiudecca esiste sottotraccia, come un sottomarino che si muove nelle viscere del paesaggio antropico della città. Un’idea progettuale aperta e multidisciplinare, che sconfina nel potenziale inespresso dei 100 metri cubi nascosti nell’underground di Via Giudecca 23.
Memoria collettiva della città e traccia evidente della sua stratificazione umana e urbanistica, è l’unica arteria pedonale che riconnette il lungomare alla città alta tramite il tapis roulant e la sua monumentale scalinata storica. Al civico 23 la galleria Toma, presidio d’arte dal 1912, sceglie di ripartire con un luogo di ricerca e sperimentazione, intimo e volutamente ostile.
“Oltre le scale” è un invito ad uscire dall’ordinario e correre un rischio. Come trovarsi sull’orlo di un precipizio e tendersi verso l’infinito, solo per sentirsi più vicini a se stessi. Il ciclo di Giona e il grande pesce - che circolarmente apre e chiude la mostra - è una dichiarazione di intenti.
Addentrandosi nel ventre di Sottogiudecca, lo spettatore è “richiamato” ad una riflessione consapevole sul sistema capitalistico, che ha rilegato l’uomo ad una funzione strumentale mortificando la sua vera natura.
Il decadentismo estetico e morale della nostra epoca ha alimentato una concezione antropocentrica distorta, in cui l’arte - nella sua accezione totalizzante - resta l’unica chiave d’accesso ad un’esperienza spirituale più autentica.
Ispirato dalla dimensione contemplativa dell’ipogeo di Sottogiudecca, l’artista immagina un luogo di culto privato, in cui mette in scena una personale “agiografia dell’uomo contemporaneo” in chiave bizantina.
Icone portatrici di una pagana sacralità, in cui “l’esempio di vita nasce” dall’intreccio di parabola, sogno e memoria. Affrontando temi e paure ancestrali con una narrazione densa di simboli, la proiezione del suo alter-ego coabita quella dell’angelo-ombra.
Misticismo e panteismo si fondono in una cosmogonia di cieli e deserti infuocati, angeli caduti, corpi tatuati e teste perdute. La project room diventa un “martyrion” costruito intorno ad una sacra reliquia, centro nevralgico di tutta la mostra, che sarà visitabile fino al prossimo 24 giugno.
L’ARTISTA
Enrico Meo, classe ‘43, nasce a Grottaglie (Taranto), dove giovanissimo frequenta l’Istituto d’Arte e le più prestigiose botteghe di ceramisti locali. Prosegue gli studi in incisione a Urbino e in pittura a Salisburgo. Grazie ai lunghi soggiorni all’estero e agli incontri internazionali, si avvicina all’Arte Concettutale sotto la guida dell’artista polacco Roman Opalka e in seguito alla Pop Art con l’artista inglese Joe Tilson. Fedelissimo alla linea di Pavel Florenskij, adotta oggi quella “prospettiva rovesciata” propria della figurazione pre-rinascimentale, che astrae intenzionalmente l’uomo e lo spazio in una sintesi radicale ed enigmatica.