Seppellito in auto, svolta sull’omicidio Tutino: un fallito caso di lupara bianca

Vibo Valentia Cronaca

Dopo poco più due anni di indagini c’è finalmente una svolta nelle indagini sull’efferato omicidio di Giuseppe Salvatore Tutino (classe ‘61), il cui cadavere carbonizzato fu ritrovato in un’auto, fatta bersaglio di colpi di fucile, interrata tra le campagne di Calimera, una frazione di San Calogero, nel gennaio del 2022 (QUI).

Stamani, tra Rosarno (nel reggino) e Siracusa (in Sicilia), i carabinieri hanno arrestato e portato in carcere due persone, una delle quali già detenuta per associazione mafiosa e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, mentre l’altra, con precedenti per armi, era ancora libera.

Gli inquirenti ritengono oggi di aver ricostruito gli eventi che portarono a quel delitto, individuando negli arrestati, entrambi ritenuti vicini ad ambienti criminali del rosarnese, le presunte responsabilità di un caso di cosiddetta “lupara bianca”.

Una convinzione a cui si è giunti grazie a delle indagini tecniche e scientifiche portate avanti anche con il prezioso aiuto degli specialisti del Ris di Messina, oltre che con intercettazioni (telefoniche, ambientali e telematiche) effettuate dai militari del Nucleo Investigativo vibonese, del Nor di Tropea e del Reparto Crimini Violenti del Ros.

L’ANALISI DEI DATI FREDDI

Proprio quest’ultimo reparto specialistico, impiegato nei casi più complessi e nei crimini più efferati avvenuti negli ultimi anni in tutta Italia, ha analizzato una quantità notevole di dati “freddi”, ottenuti dalla corposa mole di intercettazioni e dal rilevamento del traffico delle celle in diverse e ampie aree di copertura tra le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia.

Svelate anche la dinamica e le cause della morte della vittima, definite come tipiche delle esecuzioni di matrice ‘ndranghetististica: ovvero, l’esplosione ravvicinata di numerosi colpi d’arma da fuoco, l’agguato con l’inganno per indurlo ad allontanarsi dalla propria abitazione e l’eliminazione del cadavere per non lasciare tracce.

Secondo la ricostruzione investigativa i due indagati, ritenuti gli autori dell’omicidio, e che conoscevano molto bene Tutino, in concorso con altri soggetti che sono ancora da identificare, avrebbero usato dei mezzi meccanici per scavare una buca, all’interno della quale, poi, avrebbero collocato e dato alle fiamme l’auto nella quale vi era ancora il cadavere, così da “farlo sparire” definitivamente.

I FRAMMENTI DI CARTUCCE

I medici legali, durante l’autopsia, che fu eseguita svolta in due fasi, avevano ritrovato nel cadavere undici frammenti plumbei distribuiti diversamente, che i carabinieri del RIS di Messina, nel corso di accertamenti balistici delegati appositamente dalla Procura, avevano catalogato puntualmente, accertandone la compatibilità con del munizionamento spezzato, assemblato in cartucce da caccia.

Dato poi il numero del materiale balistico ritrovato sulla carcassa della vettura e nei frammenti ossei della vittima, si è accertato che la morte di Tutino sia dovuto ad almeno due colpi di fucile caricato a pallettoni calibro 12 Gauge.

A dare l’allarme ai Carabinieri di San Calogero, nel tardo pomeriggio del 17 gennaio 2022, è stato il proprietario di un fondo agricolo in località Barile, nei pressi del torrente Mesima, che delimita il confine tra la provincia di Reggio e quella di Vibo.

L’uomo, recandosi nel proprio aranceto, si era accorto della strana presenza di segni di pneumatici. Seguite le tracce si era imbattuto in una Fiat Panda bruciata e in un forte odore di materiale in decomposizione.

I primi accertamenti sulla targa, parzialmente distrutta dalle fiamme, consentirono di risalire subito al proprietario dell’autovettura poi identificato nella persona scomparsa.

I RETROSCENA DEL DELITTO

La scomparsa della vittima, denunciata dalla figlia un anno prima del ritrovamento dell’auto, cioè il 17 dicembre 2021, aveva catturato l’attenzione dei media nazionali e locali a causa delle circostanze sospette dell’allontanamento.

L’uomo, sempre premuroso nei confronti della figlia, aveva infatti improvvisamente smesso di contattarla, facendole crescere il timore che potesse essergli accaduto qualcosa di brutto. Da qui l’istinto di rivolgersi ai Carabinieri di Rosarno per denunciare la scomparsa del padre.

Le indagini hanno svelato fin da subito un possibile intreccio criminale tra i presunti autori e la vittima nell’ambito dello spaccio e della produzione di stupefacenti.

Secondo gli investigatori, difatti, l’evento scatenante la ferocia omicidiaria sarebbe stato un debito di qualche decina di migliaia di euro che la vittima vantava nei confronti di uno dei due indagati, sempre per motivi legati alla produzione di droga.

Rimasti infruttuosi i tentativi da parte di Tutino di ricevere quanto dovuto, avrebbe deciso di recarsi presso nelle coltivazioni di kiwi dei due arrestati, recidendogli le piante, per poi vantarsi di non aver alcun timore, anche dopo alcune minacce ricevute dai famigliari di uno di loro.

Un gesto che oltre ad accendere una profonda ira, avrebbe anche scatenato una minacciosa reazione: uno dei due presunti responsabili ha infatti pubblicato su un social network alcuni contenuti, usando come sottofondo una canzone folkloristica, il cui testo appariva un mix tra una minaccia velata e un rito di affiliazione alla ‘ndrangheta: “Chi tanto parla, niente guadagna, solo una cassa fatta da 4 legni e così hanno scritto i Cavalieri di Spagna, la lingua è peggio della gramigna”, recitava.

LA SVOLTA DELLE INDAGINI

L’auto con all’interno il cadavere di Tutino è stata quindi trovata a Calimera di San Calogero, ai confini delle province di Vibo Valentia e Reggio Calabria il 17 gennaio 2022.

Sul mezzo vi erano ancora marcati i segni di una benna agganciata ad un mezzo agricolo, nel tentativo non riuscito di seppellire l’auto e il cadavere carbonizzato.

Nel primo sopralluogo effettuato dai militari è stato ritrovato, nei pressi della buca, un accendino verde raffigurante una banconota da 100 euro, dei frammenti di indicatori visivi e una traccia di pneumatico.

Proprio il rinvenimento dell’accendino, con il quale si presume che l’auto sia stata data alle fiamme, nonostante sullo stesso non siano state trovate tracce utili per la comparazione del Dna, ha consentito di raccogliere elementi considerati importanti per lo sviluppo delle indagini.

Una ulteriore svolta alle indagini sarebbe poi arrivata dall’analisi dei contenuti telematici rinvenuti nel tablet e nei cellulari sequestrati ad uno degli indagati.

L’ORDINANZA CAUTELARE

L’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari di Vibo Valentia ed eseguita dai Carabinieri del Comando Provinciale del capoluogo napitino e del Reparto Crimini Violenti del Ros, il Raggruppamento Operativo Speciale, coordinati dalla Procura della Repubblica locale.