Gli smartphone ci ascoltano? Un documento riservato rispolvera l’active listening
Quante volte avete avuto l'impressione di essere stati letteralmente ascoltati dal vostro smartphone? Una situazione capitata sicuramente almeno una volta nella vita, quella di parlare di un argomento qualsiasi per poi ritrovarsi sommersi da pubblicità riguardanti proprio quell'argomento. Un caso, per molti, o anche un riflesso di alcune ricerche svolte in passato, che potrebbero aver condizionato le tipologie di "consigli" pubblicitari da mostrare.
Eppure, nelle scorse settimane è tornato alla ribalta delle cronache il concetto di active listening, una particolare tecnologia che sarebbe in grado di estrapolare parole o frasi tramite i microfoni non solo degli smartphone, ma anche di numerosi altri oggetti tecnologici connessi ad internet. Si tratta di fatto di oggetti e strumenti oramai di uso comune - smart-tv, smarth-watch, assistenti digitali, persino frigoriferi e lavatrici - e largamente presenti anche in Calabria.
Tutto nasce da un documento riservato redatto dalla Cox Media Group, agenzia di stampa statunitense che, nel tentativo di accaparrarsi ulteriori clienti, avrebbe apertamente sponsorizzato la tecnica di active listening, parlando di un doppio sistema per gestire le pubblicità mirate: prima un "ascolto attivo" tramite i microfoni di uno o più oggetti tecnologici, poi il "confronto" con i dati di ricerca e di navigazione (in particolar modo sui social network) nonchè - addirittura - con conversazioni private.
Un quadro allarmante sul quale, come comprensibile, si è alzato un polverone a livello internazionale viste le evidenti violazioni della privacy. Al momento non è stato ancora reso pubblico un comunicato di spiegazioni da parte di Cox Media Group, mentre numerosi esperti informatici rimangono scettici sul reale funzionamento di questo sistema, bollato - forse troppo frettolosamente - come una leggenda metropolitana.