Edilizia, trasporti e ristorazione sotto scacco della ‘ndrangheta. Blitz nel Torinese: sei fermi

Calabria Cronaca

Sei persone, accusate di associazione mafiosa, ricettazione, estorsione aggravata dal metodo mafioso e detenzione illegale di armi, sono state sottoposte a fermo, su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia di Torino.

Le investigazioni, eseguite dalla fiamme gialle del capoluogo piemontese, anche con intercettazioni telefoniche e ambientali e attività di pedinamento, sono partite nel quadro delle risultanze di precedenti indagini, in particolare le operazioni “Carminius” (QUI) e “Fenice” (QUI), che, nel corso del 2019 hanno smantellato una articolazione ‘ndranghetista di matrice vibonese attiva nel torinese.

L’operazione di oggi, chiamata in codice “Factotum”, fa ora ritenere di aver scoperto l’esistenza di un gruppo mafioso, radicato nella stessa provincia, in particolare nel carmagnolese, che grazie alla sua forza di intimidazione e la condizione di assoggettamento e di omertà che ne consegue, avrebbe acquisito il controllo di imprese edili, immobiliari, di trasporti e della ristorazione.

Una acquisizione che sarebbe avvenuta tanto in modo diretto che utilizzando il paravento delle intestazioni fittizie di società e imprese artigiane, ma anche in modo indiretto, ovvero tramite servizi di “protezione” e “recupero crediti”, o tramite l’intermediazione della manodopera e l’ingerenza nei rapporti tra imprese del settore edile, operai, sindacati di categoria e cassa edile.

Sempre dalle investigazioni emergerebbe la rilevanza del ruolo svolto, ai fini dell’operatività dell’associazione, di un membro eletto nella segreteria locale di una sigla sindacale del settore edile, settore di specifico interesse del clan.

IL RUOLO CENTRALE

Personaggio centrale nell’ambito delle dinamiche del gruppo, è considerato poi un altro soggetto, Francesco D’Onofrio, 69enne di Mileto, nel vibonese, anch’egli sottoposto oggi a fermo, già coinvolto nel noto processo “Minotauro” (QUI), che riguarda proprio l’insediamento e l’operatività a Torino e in diversi comuni piemontesi di numerose formazioni ‘ndranghetiste, tutte collegate tra loro e costituenti una vera e propria rete associativa.

L’ipotesi degli inquirenti è che l’uomo abbia diretto e organizzato la rete della ‘ndrangheta del Piemonte, a tutt’oggi ancora operativa, promuovendo, favorendo e partecipando ad incontri tra associati di diverse articolazioni calabresi e piemontesi indetti per raggiungere intese, alleanze, per decidere spartizioni del territorio, per richieste di interventi di mediazione o di recupero crediti, per le regolamentazioni di rapporti tra associati e articolazioni, per autorizzazioni a commettere delitti.

Il 69emme sarebbe stato quindi un riferimento per gli appartenenti alla criminalità organizzata comune che intendevano ottenere avallo per la propria attività.

Secondo la Dda avrebbe esercitato il suo ruolo anche sovraintendendo alle attività dei partecipi del gruppo carmagnolese nel settore dell’edilizia, e poi aver assicurato i sostentamenti finanziari per le spese legali degli associati e le loro famiglie.

LA PROTEZIONE AGLI IMPRENDITORI

Dalle indagini risulterebbe anche che l’organizzazione criminale, grazie all’opera di altri due destinatari del fermo, abbia fornito a Carmagnola protezione a imprenditori durante dissidi con altri operatori economici. Un servizio remunerato in denaro risocsso e successivamente destinato agli associati.

Per gli inquirenti è emblematica, ai fini della descrizione del modo di agire degli indagati, è la figura di un altro presunto sodale, ritenuto affiliato alla ‘ndrangheta sin dal 2003 (per questo già giudicato), il quale non solo avrebbe favorito lo scambio di comunicazioni inerenti l’attività del gruppo, organizzando incontri con altri appartenenti, ma avrebbe concordato con altri sodali, citati come testimoni in udienze per un processo riguardante dei reati di matrice ‘ndranghetista, termini e modi per rendere una falsa testimonianza, così da screditare un collaboratore di giustizia.

L’uomo, poi, ed in un caso specifico, con la minaccia, consistita nel far valere la propria appartenenza all’organizzazione, avrebbe costretto un soggetto estorto a consegnargli dei beni preziosi, dei bracciali in oro e simili, del valore di circa 20 mila euro.

Destinatario del fermo è anche un soggetto attualmente detenuto in carcere per essere stato giudicato in via definitiva per avere fatto parte nel recente della ‘ndrangheta piemontese.

La tesi è che oltre a partecipare agli incontri tra i membri dell’organizzazione della ‘ndrangheta piemontese e ad esser stato protagonista di vicende estorsive, si sarebbe adoperato per fornire sostegno finanziario e assistenza logistica al latitante Pasquale Bonavota, ritenuto appartenente di spicco dell’omonima cosca del vibonese.