Lo “zio” crotonese boss della droga tra Ascoli e Teramo: 14 arresti
È un 50enne crotonese la figura di spicco intorno a cui ruotano le indagini che stamani, nelle Marche, ma non solo, con l’operazione Grandosns2 (QUI), hanno portato all’arresto di quattordici persone per traffico di droga e detenzione di armi.
Si tratta di un noto pregiudicato per gravi reati, come l’associazione a delinquere di stampo mafioso, dato che in passato lo stesso sarebbe stato legato ad una cosca di ‘ndrangheta del capoluogo pitagorico, quella dei Vrenna-Corigliano-Bonaventura, e già condannato per traffico di stupefacenti, ricettazione ed evasione.
Le investigazioni, coordinate dalla Dda di Ancona e coordinate dalla Procura di Ascoli Piceno, hanno portato a ritenere di aver disarticolato un gruppo che avrebbe appunto gestito il lucroso business della droga nella provincia ascolana e in quella limitrofa di Teramo, senza disdegnare di allargarsi anche in altre regioni.
Tra i leoni ed i mosaici
Im gruppo che gli stessi investigatori definiscono come stabile ed organizzato, ordinato gerarchicamente, e con una precisa suddivisione di ruoli e funzioni.
A capeggiarlo si ritiene vi fosse proprio il 50enne, tant’è che la base operativa sarebbe stata proprio nella sua abitazione, nella zona di San Benedetto del Tronto, un’immobile costruito abusivamente con abbellimenti architettonici come leoni e mosaici a simboleggiare il potere dell’organizzazione.
La fisionomia da clan
In quella casa, infatti, sarebbero state deliberate, programmate, ripartite e in parte realizzate le attività criminali; e lì si sarebbe anche confezionato lo stupefacente.
Secondo la Dda, insomma, l’organizzazione, con a capo il calabrese, avrebbe assunto la fisionomia di un clan, che attraverso l’uso di armi, della violenza e delle ritorsioni, stava conquistando il mercato della droga (per lo più cocaina, eroina e hashish) nella provincia di Ascoli e, in particolare, nella zona costiera di San Benedetto del Tronto.
L’uomo veniva da tutti chiamato “zio”, un termine che lo indicava a capo della struttura, da qui la denominazione dell’operazione antidroga “Grandsons”.
Il ruolo delle donne
La struttura è risultata poi caratterizzata da rapporti di parentela tra gli associati, equilibrati dalla partecipazione anche delle donne (sono difatti cinque quelle arrestate, tre in carcere due ai domiciliari), e aveva stretto una stabile alleanza con alcuni soggetti albanesi che, com’è noto, gestiscono anche in questa regione i grandi quantitativi di cocaina.
Ma gli inquirenti evidenziano come forte sarebbe stato il ruolo del 50enne che facendo leva sul suo passato criminale e godendo di amicizie attuali con alcuni esponenti della ‘ndrangheta calabrese, sarebbe riuscito ad intimorire i giovani sodali, spingendoli a vendere lo stupefacente e a compiere intimidazioni e ritorsioni con l’uso delle armi.
La minaccia col machete
Emblematico al riguardo, un episodio accaduto nel contesto di un’attività di spaccio, in cui il principale indagato avrebbe usato violenza nei confronti di uno straniero vicino al gruppo, mettendolo in condizione di inferiorità e brandendogli contro un machete col quale lo avrebbe costretto ad aderire alle sue disposizioni, così imponendogli la sua condizione di vertice.
Le altre figure di spicco
Nel corso dell’indagine si sono delineate anche numerose altre figure, tra cui quelle con maggior rilievo sarebbero state un cittadino di origine albanese, di 33 anni, pregiudicato per stupefacenti, e residente in un comune della vicina provincia di Teramo, che sarebbe risultato interessato ad una coltivazione di marijuana in Spagna, da trasportare verosimilmente in Italia.
Altri partecipanti avrebbero invece avuto un ruolo di subordinazione, occupandosi oltre che dello spaccio al dettaglio, anche del taglio e del confezionamento della droga e della conseguente raccolta di denaro.
La disponibilità di armi
Emersa la disponibilità da parte sia del 50enne che degli altri appartenenti, di armi da fuoco corte e lunghe, ma anche di alcune modificate per aumentarne la potenzialità offensiva.
Si è accertato infatti che il calabrese avesse due pistole a tamburo, un fucile a canne mozze ed una bomba a mano, sebbene priva della carica esplosiva. Inoltre, il gruppo avrebbe avuto la disponibilità di una pistola semiautomatica calibro 9x21.
Le stesse erano custodite nelle pertinenze dell’abitazione del presunto capo e sono state trovate durante una perquisizione. La bomba a mano, invece, è stata scoperta fortuitamente, da un cane che stava giocando nei paraggi, a poca distanza dalla casa, interrata all’interno di un involucro di vetro.
Gli ordini dal carcere
Nel corso delle indagini, sono stati effettuati cinque arresti in flagranza di altrettanti italiani e albanesi. Dall’attività è emerso, ancora, come alcuni dei sodali, nonostante fossero detenuti per altre cause nelle Case Circondariali di Ascoli Piceno, Teramo e Ferrara, avessero continuato comunque a mantenere contatti telefonici con gli altri appartenenti al gruppo, organizzando da lì l’attività di spaccio.
L’organizzazione sarebbe stata infatti capace di smistare alti quantitativi di droga, anche nell’ordine di alcuni kilogrammi, prevalentemente di cocaina.
I numeri dell’operazione
L’operazione antidroga ha richiesto l’impiego di oltre cento agenti della Polizia di Stato entrati in azione in diversi territori come Ascoli Piceno, San Benedetto del Tronto, Monteprandone, Controguerra ed Imperia, collaborati dai colleghi delle Squadre Mobili delle Questure di Ancona, Chieti, Fermo, l’Aquila, Macerata, Perugia, Pesaro, Pescara, Teramo, Terni, Potenza ed Imperia.
Hanno partecipato anche gli uomini del Reparto Prevenzione Crimine di Pescara, della Squadra Cinofili antidroga di Ancona e Roma, e del Reparto Volo di Pescara, sotto il coordinamento del Servizio Centrale Operativo della Polizia.
Nell’esecuzione delle misure cautelari, ha prestato collaborazione la Polizia Penitenziaria del Carcere di Ascoli Piceno, presso il quale sono state eseguite tre delle quattordici ordinanza, con relative perquisizioni delle celle.