Lettera del testimone di giustizia Morelli a Don Ciotti
Riceviamo e pubblichiamo la lettera scritta dal testimone di giustizia Pino Morelli a Don Ciotti
"Caro don Ciotti,
io conosco la ’ndrangheta. Mio malgrado sono stato costretto a conoscerla ed i segni di quest’incontro del quale non ho colpe continuo a portarli sulla mia pelle, in tutto ciò che rimane della mia esistenza, come molti altri uomini che vivono nei territori nei quali lei si sforza di portare speranza e sollievo. Sono certo che la ’ndrangheta non dimentica mai. Non dimentica soprattutto chi ha trovato il coraggio di denunciare i soprusi subiti. Ciò che però mi fa più paura non è la vendetta, ma il silenzio proprio da parte di uno Stato che, unitamente alle indecifrabili forze dell’anti-Stato, fa sì che, nonostante le denunce, i processi e le sentenze di condanna, chi ha fatto del male sia subito fuori. Sono ombre che camminano e che nessuno vede o non vuol vedere. Ho subito richieste estorsive, non ho mai pagato, non mi sono piegato. Dovevo decidere se provare a salvare la mia azienda e continuare a dare lavoro, oppure accondiscendere alle pretese di chi mi ha preso a tiro. Ho deciso di ribellarmi, ma il prezzo pagato è stato comunque alto, altissimo. Pensi, don Ciotti, che alla fine qualcuno mi ha anche chiesto che danno avessi subito. Oggi, a chiunque me lo chieda, do sempre la stessa risposta: hanno fatto terra bruciata attorno a me. Acquisendo questa consapevolezza ho compreso la portata della ritorsione consumata nei miei confronti, costretto a fare i conti con la minaccia che mi è piovuta addosso, quella di farmi sparire per lupara bianca. Sono un testimone di giustizia, ma anche dell’ingiustizia. E vorrei che quanto è accaduto a me non accada ad altri che trovano il coraggio di ribellarsi e denunciare. Per questo dico che è necessario che il testimone sia protetto ed aiutato, per una vita intera, perché - proprio come le dicevo - la ’ndrangheta non dimentica. La tutela deve essere effettiva, lo Stato lo aiuti per tutte le spese che deve affrontare, non solo quelle giudiziarie, ma anche quelle necessarie a rimettersi in carreggiata sul piano imprenditoriale qualora gli effetti dell’aggressione delle mafie siano così devastanti. Lo Stato non vince se il testimone vive e non perde se muore. Lo Stato vince se il testimone è capace di diventare un simbolo di riscatto sociale, se la sua azienda riesce a sopravvivere, se la ’ndrangheta, in ogni aspetto della sua esistenza, non possa più esercitare qualsiasi forma di condizionamento. Che vittoria sarebbe la mera sopravvivenza fisica di uomini in agonia, di imprenditori in ginocchio, costretti a licenziare, a chiudere, ad andare via. Quando si perde tutto non si ha più voglia di vivere e, anche se si respira ancora, se il cuore batte, si è morti dentro. Io non ho mai voluto essere testimone di giustizia, non mi sono alzato una mattina decidendo che da lì in avanti sarei stato tale. E’ la ’ndrangheta che mi ha investito e travolto, come un’auto che viaggia a duecento all’ora, schiacciandomi come un moscerino sul parabrezza. Dovevo decidere se morirci lassù o dotarmi di nuove ali. Ha dato fondo al mio spirito ed ho provato a volare di nuovo, sulle ali di un’ideale di giustizia. E così ho detto basta. Ora, don Ciotti, lei mi insegna che ogni uomo, in sé, ha una parte buona ed una cattiva. Io ho deciso che la buona dovesse prendere il sopravvento, che il coraggio dovesse battere la paura, che la voce dovesse rompere il silenzio e che la dignità dovesse prevaricare l’infamia. Credo, per questo, che nella nostra terra prima ognuno debba combattere contro se stesso, per poi combattere tutti insieme, perché uniti si è più forti, al fine di costruire un mondo libero e migliore da lasciare ai nostri figli. Mi benedica, padre, anche se ho peccato, perché in tutto ciò voglio continuare a credere."