A Nocera Terinese ritorna il secolare rito dei “Vattienti”
Da secoli a Nocera Terinese si ripete un rito, in molti casi tramandato da padre in figlio, denominato dei “Vattienti” i quali mortificano pubblicamente il loro corpo con la flagellazione fino a far sgorgare il sangue dalle ferite provocate dal “cardu”, un disco di sughero su cui sono infissi tredici acuminati pezzetti di vetro, detti “lanze”. Prima, però, si “iperemizzano o si arrosano”, come si suole dire in gergo, le cosce e i polpacci con le mani e poi con la “rosa”, un disco di sughero. È una pratica assai cruenta compiuta, da alcuni la sera del venerdì Santo, da altri nel corso del Sabato Santo, sia per penitenza che per devozione o soddisfazione di un voto durante la processione della Pietà, opera lignea di pregevoli scultori di una scuola napoletana del secolo XVI. Nel corso della flagellazione, - scrive in una nota Lina Latelli Nucifero - i penitenti si fermano davanti alle abitazioni di parenti, amici, sul sagrato delle chiese, ai piedi della Vergine Addolorata, vestiti con una maglietta nera e un pantaloncino corto che lascia scoperte le gambe e le cosce destinate al supplizio. Si assiste così ad uno spettacolo cruento durante il quale il flagellante, con il capo cinto con una corona di spine fatta di “sparacogna” (asparago selvatico) e adagiata su un panno nero, detto “mannile”, percorre le vie del paese legato con una lunga corda all’Ecce homo che porta sulle spalle una croce con i bracci obliqui avvolta da bende e nastri di tessuto scarlatto. Anche lui è scalzo, come il Vattiente, e porta sul capo una corona fatta con la “spina santa” , dai rami lunghi ed aculei.
Il Vattiente, completato il giro, ritorna nei locali della preparazione, si deterge le ferite con un infuso di acqua e rosmarino e si unisce ai fedeli che seguono la processione. Incerta è l’origine dei Vattienti. Secondo alcune testimonianze sembra che essi si riallaccino ad un movimento religioso, fondato a Perugia dal mistico Raniero Fasani, fra il 1259 e il 1260, che, annunciando l’ ira e il giudizio di Dio contro l’ umanità corrotta, si sottoponeva pubblicamente all’ autoflagellazione sulle spalle per espiare i peccati dell’ umanità e invitava la gente a pentirsi. Ben presto il movimento raggiunse i 10.000 membri e si diffuse in tutta Europa nonostante l’ostilità di Manfredi, re di Sicilia e della chiesa e delle autorità civili essendo i flagellanti diventati aggressivi verso gli ebrei in Germania e in Olanda. Il rapido diffondersi in Europa della peste fra il 1347 e il 1350 incoraggiò invece la rinascita del movimento. Nel 1349 papa Clemente VI dichiarò i flagellanti eretici e si adoperò per disperderli. Una ripresa del movimento in Germania nei primi anni del XV secolo portò alla condanna definitiva dei flagellanti da parte del concilio di Costanza (1414-1418) che li dichiarò eretici. La Chiesa ufficiale ha sempre condannato o ignorato i Vattienti. A partire dagli anni 1950 vari sono stati i tentativi, anche con l’intervento della polizia, di sopprimere i Vattienti di Nocera Terinese come quello di monsignor Eugenio Giambro, vescovo di Nicastro che vietò tale forma di penitenza e del Vescovo di Tropea monsignor Agostino Saba. I tentativi risultarono vani. In tempi più recenti un giudizio negativo è stato espresso da monsignor Ferdinando Palatucci il quale giudicava il rito dei Vattienti come «pagano e magico» e sperava che la situazione «incresciosa» si potesse modificare attraverso un lungo lavoro di evangelizzazione.
Un miglioramento di giudizio si è verificato durante l’episcopato di monsignor Vincenzo Rimedio, che, dopo aver incontrato alcuni vattienti, ha avuto per loro parole di profonda comprensione e ha sostenuto che « essi non si battono per esibizione ma per soddisfare un voto (il voto è una promessa fatta al Signore o alla Madonna) e in essi, perciò, c’è sempre un senso religioso che dobbiamo rispettare». Un altro intervento autorevole è stato fatto dal Cardinale Ersilio Tonini, il quale, nel corso di una interessante serata televisiva, ha dichiarato:« La flagellazione è quasi sempre voler partecipar alle sofferenze del Signore e i “vattienti” richiamano l’uomo a prendere coscienza di quanto Gesù ha sofferto per la salvezza dell’umanità. Dinanzi all’imperversare di delitti, vergogne e orrori, si sente il bisogno della penitenza per riconoscere Dio come Padre ed esprimere attraverso il corpo lo struggimento dell’anima. È questa dunque - conclude il Cardinale Tonini - una grande e vera modernità: la liberazione, la capacità di portare il proprio animo a non sentire più il peso del passato e recuperare energie da mettere a disposizione del bene comune».