Malacari: i dipendenti della pubblica amministrazione sono fannulloni?
Riceviamo e pubblichiamo una nota dal Coordinatore della rappresentanza sindacale unitaria della Provincia di Crotone, Vincenzo Malacari, sui dipendenti della Pubblica Amministrazione.
"Non basta che, pur di salvare il trono, Il Gotha dell’Upi (Unione delle province italiane), autoproclamatosi “classe dirigente di questo paese” … e desiderosa di “dimostrare che la buona politica esiste”, abbia deciso di svendere le piccole province e le sorti di migliaia di lavoratori.
Evidente no, questo non basta, perché ora bisogna alzare il tiro, diffondendo nell’opinione pubblica un ulteriore messaggio: quello che le Province, oltre ad essere enti inutili, sono anche uno dei tanti contenitori pubblici zeppo di incompetenti e fannulloni. Cosi, un giorno sì e l’altro pure, sulle pagine di diversi quotidiani nazionali e locali, come sui blog di mezzi Italia, spuntano decine e decine di articoli, tutti rigorosamente suggellati da titoli e slogan ad effetto, tipo: “Per i fannulloni delle Pubbliche amministrazioni la pacchia è finita, ora dovranno andare a lavorare come tutti gli altri” o “Dipendenti pubblici: addio al posto fisso”.
Ma è veramente questo che pensa la gente comune? Personalmente non intendo negare l’esistenza di fannulloni all’interno delle pubbliche amministrazioni, né tantomeno arroccarmi dietro meri interessi consociativi a difesa dell’intera categoria. Il proposito è un'altro, quello di offrire una diversa chiave di lettura sull’attuale situazione delle organizzazioni, in grado di superare il classico stereotipo del dipendente pubblico fannullone.
In tal senso, credo che vada rovesciata la prospettiva fondata sulla retorica dei fannulloni, riportata alla ribalta e tradotta in una crociata dal ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta. Il vero problema non è la volontà (buona o cattiva) degli individui, ma l’organizzazione. Per capire questo vanno smontati alcuni miti, dal momento che si procede per slogan. È falso, per esempio, che il settore pubblico in Italia sia sovradimensionato: il numero di dipendenti è in media con l’Europa. Il problema, invece, è la bassa produttività della pubblica amministrazione, che , del resto, risulta simmetrica al conclamato deficit di produttività del lavoro in generale in Italia. Ma, allo stato attuale, elementi concreti tali da dimostrare effettivamente il livello della produttività dei lavoratori pubblici non vi sono. O meglio i vari tentativi avviati negli ultimi anni da parte di molte amministrazioni pubbliche di misurare la produttività dei dipendenti hanno miseramente fallito il loro compito, ricadendo il più delle volte nella cosiddetta “trappola delle attività”, allorquando viene mestamente confuso il fine con il mezzo. Sicché, i vari sistemi di controlli gestionali più che misurare risultati concreti ed essere di supporto nella fase di programmazione degli obiettivi, si sono limitati il più delle volte a trovare le pezze giustificative per elargire premi ed incentivi ai dipendenti.
L’errore più grande che si è commesso in questo campo è stato quello di credere che dal privato era possibile mutuare sic et simpliciter tutti gli strumenti di misurazione e valutazione, il tutto senza preoccuparsi di definire in cosa consiste la produttività delle amministrazioni pubbliche. Compito quest’ultimo tutt’altro che facile, dal momento che l’attività amministrativa è, in primo luogo, estremamente diversificata: raramente le amministrazioni sono specializzate in una o poche attività, anzi la produttività complessiva di un ente pubblico è realmente di difficile misurazione, poiché spesso esso gestisce una moltitudine di funzioni, tanto è che se un imprenditore privato (che è, per antonomasia, abituato a ragionare in termini di fatturato o quote di mercato) ci provasse, difficilmente riuscirebbe a mantenere gli equilibri economici. Inoltre, le pubbliche amministrazioni non concorrono sul mercato e non perseguono il profitto. Mancano,così, parametri di riferimento della produttività ed efficienza tipici del privato E ancora, molti prodotti sono forniti anche prescindendo da un mercato: i servizi essenziali alla persona debbono essere erogati prescindendo dell’intensità richiesta. Né è possibile decidere quanto prodotto porre in essere: il comune emette tutte le carte d’identità che sono richieste, non può immetterne sul mercato una quantità da “vendere”, per perseguire il profitto. (peccato che questo concetto fondante di uno Stato sociale sia stato dimenticato dall’attuale Governo)
Ma questo rappresenta solo una parte del problema esistente all’interno delle pubbliche amministrazioni, l’altra riguarda il livello di motivazione generale dei dipendenti che operano all’interno delle pubbliche amministrazioni. In tale prospettiva, la riforma della pubblica amministrazione è giusta, purché ne siano condivisi principi e impostazione. Allo stesso tempo è solo demagogico un approccio fondato sull’individuazione di un capro espiatorio, sull’esaltazione mediatica e politica della polemica sui fannulloni. La lotta all’assenteismo e ai fannulloni è sacrosanta, ma molti di questi sono semplicemente dipendenti disillusi e demotivati, prodotti dai meccanismi di malfunzionamento delle organizzazioni stesse.
Per dare un’idea di quanto sia complessa la realtà del pubblico impiego, il mio suggerimento è quello di leggere l’ottimo libro del Professore Giovanni, Docente di management pubblico e Prorettore dell’università Bocconi, dal titolo “Fannulloni si diventa” .
Il libro, inizia proprio con una contraddittoria discrasia di valori: Il giudice Falcone era un dipendente pubblico, Paolo Borsellino anche, cosi come gli uomini della loro scorta. E questi sono gli eroi. Enrico Fermi era un dipendente pubblico, cosi come lo è la maestra di mia figlia, che ha fatto un lavoro importantissimo e straordinario. E questi sono i campioni. Anche l’impiegato che ha accumulato 120 giorni di assenza in un anno è un dipendente pubblico, cosi come lo è quello che si fa timbrare il cartellino dal collega compiacente. E questi sono i fannulloni." Forte di uno studio di oltre 20 anni sui temi del rinnovamento del settore pubblico, l’illustre collega del Premier Monti è convinto che il fannullone generico (tanto per intenderci: quello per nascita) rappresenta assolutamente una minoranza nelle PA, anzi la verità è che nella maggior parte dei casi i fannulloni sono prodotti dall’organizzazione e in particolare alcune amministrazioni pubbliche si sono, nel tempo, specializzati, in questo. Allo scopo individua quattro categorie di potenziali fannulloni.
I primi sono i cosiddetti disillusi, ovvero persone non necessariamente incapaci ma che nel tempo hanno perso la voglia di impegnarsi. Spesso hanno iniziato la loro avventura lavorativa carichi di entusiasmo e aspettative, incontrando poi nel percorso professionale tante piccole e grandi delusioni, sino a minarne nel profondo la fiducia verso un futuro ricco di interessi.
La seconda categoria di fannulloni è quella degli incompetenti, ovvero persone che nel tempo hanno subito un’obsolescenza professionale, oppure che sin dall’origine hanno ricoperto posizioni lavorative per le quali non avevano né l’attitudine né la preparazione necessaria, risultando, in entrambi i casi, inadeguate rispetto ai compiti da svolgere. Questa categoria vive uno stato di profondo disagio e cerca, in ogni modo e con ogni escamotage, di sfuggire alle responsabilità, quasi preoccupata di non farsi scoprire.
Una terza categoria di fannulloni sono i demotivati, ossia persone che non trovano nei contenuti di lavoro, nella condizioni di lavoro, nell’ambiente di lavoro, nelle prospettive di crescita professionale, solide giustificazioni a un impegno al massimo delle proprie energie e potenzialità. Non solo, questa tipologia di fannulloni produce un’ulteriore effetto di distorsione per l’organizzazione: impedisce la crescita professionale di altri dipendenti che, sebbene rivestono posizioni gerarchicamente inferiori, hanno maggior capacità professionali
L’ultima categoria di fannulloni è quella delle vittime, ossia le persone che, per vari motivi, non hanno all’interno dell’organizzazione le soddisfazioni e i riconoscimenti che si meriterebbero. Nei casi estremi ciò configura situazioni di mobbing. Questa categoria è quella più difficilmente riconoscibile, perché spesso viene confusa con quella dei cosiddetti miracolati che si sentono penalizzati, ossia persone che pur ricoprendo posizioni al di sopra dei propri meriti e capacità, per definizione hanno un atteggiamento rivendicativo nei confronti dell’organizzazione a cui appartengono
Nel suo libro, Valotti, non si limita all’analisi del fenomeno, ma ne illustra anche le cause, suggerendo alla fine una serie di possibili rimedi.
Come si vede i problemi della pubblica amministrazione sono tanti e, di certo, non possono essere affrontati con misure emergenziali che, alla fine, rappresentano solo cure palliative, in grado (forse) di risolvere solo la contingenza del momento senza però innescare quel processo di cambiamento atteso da anni."