Incontro con Del Boca, Parisi, Morace e Nunnari alla Sede del Sindaco Giornalisti della Calabria

Reggio Calabria Attualità

Recuperare la dignità. Sul piano economico, certo, ma anche su quello squisitamente etico e professionale. Perché “non è vero che giornalisti si nasce: lo si diventa studiando, leggendo, insomma preparandosi”. Parla chiaro Lorenzo Del Boca, presidente emerito dell’Ordine nazionale dei giornalisti, ospite d’onore di un animato incontro nella sede del Sindacato giornalisti della Calabria, in occasione di un anniversario importante, i 50 anni dall’istituzione dell’Odg.

3 febbraio 1963 – 3 febbario 2013: “Sono cambiati i tempi e i giornali – ha esordito il 3 volte presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, l’unico a reggere la categoria per tre mandati consecutivi – ma non sono cambiati i doveri per il giornalista. Lo diceva chiaramente la legge con cui, 50 anni fa, nasceva l’Ordine (la n. 69 del 1963, ndr) ed è giusto ribadirlo oggi: il giornalista svolge un ruolo così importante che non può essere sottovalutato, delicato al pari di quello di un medico”.

La responsabilità di chi ha scelto di fare dell’informazione il proprio “mestiere” è grande, e “la deontologia, come il senso etico della persona e del professionista, non sono optional”, ma non si può non guardare l’altra metà del bicchiere. Se i doveri, in quanto tali, sono imprescindibili, “è ovvio – ha sottolineato Del Boca – che debbano esserci, ed essere rispettati, anche i diritti. E allora chiariamo, ancora una volta, che il giornalismo volontario non può esistere”.

Certo, “il giornalista non deve mirare ad arricchirsi – ha chiarito Del Boca -, ma neppure accettare condizioni tali da essere comprato con un panino dal potente di turno: in tali condizioni, il giornalista perde non solo la sua dignità, ma anche la credibilità nei confronti del lettore. Viene meno il rapporto di fiducia su cui si basa l’essenza stessa della nostra professione”.

La crisi generale, manco a dirlo, non aiuta. Tentare una soluzione, quantomeno una proposta, però, si può: “I giornalisti da soli non possono farcela – tira dritto il presidente emerito dell’Odg – nonostante la grinta e il desiderio di riscatto, ancor più marcato qui in Calabria. Occorre costringere gli editori a sedersi attorno a un tavolo e chiedere loro cosa intendano fare per uscire insieme da questa triste contingenza. D’altra parte, dovrebbero essere loro, i ‘padroni’, a preoccuparsi per primi per la chiusura di un giornale. Che è la loro attività”. Una strada, quella tracciata da Del Boca, “felicemente stupito dalla grinta e dalla vivacità riscontrate tra i colleghi e le colleghe della Calabria”, su cui si immettono volentieri anche gli altri protagonisti della conferenza di Reggio Calabria, promossa dal Sindacato regionale dei giornalisti (nel nutrito parterre dei giornalisti di quasi tutte le testate regionali, dalla carta stampata al web, anche il vicesegretario del Sindacato giornalisti della Calabria, Pino Toscano, il presidente della Consulta Sindacale, Andrea Musmeci, e il presidente del Corecom Calabria, Sandro Manganaro; mentre il presidente dell’Odg della Calabria, Giuseppe Soluri, influenzato, ha voluto comunque partecipare all’iniziativa con un messaggio di saluto). A cominciare dal segretario, e vicesegretario della Federazione nazionale della stampa, Carlo Parisi: “Non può esistere libertà di stampa senza dignità e adeguate tutele dei giornalisti che, non mi stancherò mai di ripeterlo, non devono accettare di lavorare gratis. Il giornalismo non è accattonaggio”.

Di converso, “i giornalisti – ha ribattuto Parisi – devono fare la loro parte, dimostrandosi professionisti seri e credibili, per rispetto del loro vero e unico padrone: il lettore. Perchè sono i cittadini-lettori che comprano il giornale o lo ‘sfogliano’ sul web. E se il giornalista non fa bene il suo lavoro o si rende ricattabile, accettando paghe da fame, quando ci sono, dà un colpo di scure al rapporto di fiducia che lo lega al lettore. Che è la base della nostra professione”.

Il “sacro fuoco” del giornalismo brucia – ancora ed eccome – nell’intervento di Domenico Morace, il direttore del record (1 milione e 700mila copie vendute nel 1982 dopo la vittoria dell’Italia ai Mondiali di calcio in Spagna) per quello che lui stesso considera a tutt’oggi il suo giornale, il “Corriere dello Sport”. Un mestiere, quello del giornalista, che Morace ha “fatto per 50 anni e ricomincerei da capo – confessa – anche se personalmente non mi ritrovo nel giornalismo odierno: ci sono giornali che si fanno la guerra quasi fosse una competizione tra bande. Ci sono giornalisti che sembrano aver dimenticato le due regole basilari per chi ha scelto di fare questo mestiere: la sintassi e la ‘consecutio’. Come si può leggere un giornale in cui il congiuntivo è un lusso?”.

Non lesina (sacrosante) critiche Morace, che ammette di aver avuto “la fortuna di lavorare con un editore puro, un’utopia, purtroppo, oggi nella stampa italiana” e di far “fatica ad accettare che un ragazzo, che vuol fare il giornalista, da Reggio Calabria deve andarsene in Cina per guadagnare appena 1000 euro. Sediamoci e riflettiamo tutti insieme, ripensiamo il modo di fare i giornali, – è quasi un grido di dolore quello di Morace, professionista di indiscussa caratura e signorilità – perchè francamente assistiamo ad una realtà inaccettabile”.

E’ Domenico Nunnari, già vicedirettore nazionale della Tgr Rai, a dare forza al sasso lanciato da Morace: “Bene l’invito ad una riflessione generale sulla nostra professione, nella consapevolezza che oggi non so se sia più giusto parlare, a proposito della stampa, di Quarto potere o, piuttosto, di Quarta debolezza”. Nunnari ribadisce, quindi, che “essere giornalisti, oggi più che mai, comporta un supplemento di impegno, se vogliamo mantenere fede a quelle che dovrebbero essere le caratteristiche fondamentali di questo mestiere, la libertà e la credibilità, di cui siamo i primi responsabili. Reinventiamoci, diamoci da fare, occorre farsi forti stando insieme. Partendo dalle periferie, perché la stampa locale gioca, da sempre, un ruolo importantissimo”. Ripartire, insomma, si deve e si può. Perché no, dalla Calabria.