Ambulante accoltellato a Catanzaro: indagati restano in carcere
"Una spedizione premeditata, attentamente pianificata e che, vigliaccamente, è stata consumata con l'uso di un coltello ai danni di una persona inerme che, sotto lo sguardo impotente e atterrito di vari passanti, si è trovata improvvisamente risucchiata in un vortice di inaudita violenza da parte di oggetti evidentemente in preda ai più biechi e riprovevoli istinti". Queste le parole con cui il giudice per le indagini preliminari di Catanzaro ha ricostruito i fatti contestati ai fratelli Roberto e Sandro Talarico, ambulanti catanzaresi di 34 e 40 anni, destinatari di un provvedimento di fermo per il tentato omicidio aggravato (nonché per altri reati quali il porto ingiustificato di coltello e le minacce) del 54enne Fioravante Tolomeo, anche lui venditore ambulante, accoltellato nel pieno centro del capoluogo calabrese mercoledì scorso perché aveva denunciato Salvatore Talarico, 48 anni, terzo fratello degli indagati, multato poche ore prima.
Quest'ultimo, il giorno del tentato omicidio, è stato arrestato per lesioni e resistenza aggravata a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato a causa di una sfuriata fatta presso il Comando dei vigili urbani dopo essere stato multato, e nel corso del giudizio per direttissima ha patteggiato sei mesi di reclusione. I suoi fratelli, invece, che avrebbero attuato una spedizione punitiva contro Fioravante colpevole, secondo loro, di aver segnalato Salvatore Talarico alla Guardia di finanza perché fosse sottoposto a controllo, sono stati raggiunti solo in seguito dal provvedimento di fermo emesso dal sostituto procuratore Gerardo Dominijanni, sulla base delle indagini degli uomini della Squadra mobile di Catanzaro.
Il gip, Abigail Mellace, oggi ha convalidato il fermo di Roberto e Sandro Talarico, disponendo a loro carico la misura cautelare della custodia in carcere, come richiesto dal pubblico ministero, riconoscendo la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza "in ordine a un'allarmante e violenta aggressione, posta in essere con l'ausilio di un coltello, ai danni della persona offesa, ripetutamente e selvaggiamente colpita in parti vitali del corpo, quali la testa ed il fianco sinistro", nonché la contestata premeditazione, per i "reiterati atti, lucidamente pianificati e diretti in modo non equivoco ad attentare alla vita della vittima". Determinante, per il giudice, è stato anzitutto il riconoscimento degli indagati effettuato dalla persona offesa, la cui versione è risultata perfettamente attendibile e confermata, oltre tutto, dal vigile urbano giunto sul posto per puro caso, nonché da altri due testimoni oculari. È stato ritenuto concreto, poi, il pericolo di fuga da parte degli indagati che, già nell'immediatezza dei fatti si erano "repentinamente allontanati dandosi sostanzialmente alla fuga".
Il giudice ha rilevato inoltre come "il violento e barbaro pestaggio perpetrato ai danni del Tolomeo si sia interrotto non a seguito di una volontaria desistenza degli indagati, ma solo grazie al provvidenziale arrivo sul luogo del fatto dell'autovettura del vigile urbano evidentemente scambiata per quella dei rappresentanti delle forze dell'ordine". Quanto alle esigenze cautelari, il giudice scrive che "le allarmanti modalità dei fatti qui ricostruiti sono chiaramente dimostrativi della allarmante personalità, della spiccata capacità a delinquere di entrambi gli indagati i quali appaiono chiaramente come soggetti senza scrupoli, le cui brutali azioni sono cioè ispirate e dominate da istinti ciechi e sordi propositi di vendetta, lucidamente messi in atto, senza alcuna remora, anche in pieno giorno e innanzi ad una folla di potenziali testimoni.
La pericolosità sociale degli indagati e, quindi, il concreto ed attuale rischio che gli stessi, se lasciati in libertà, possano nuovamente commettere altri delitti della stessa specie di quelli per cui si procede, anche ai danni della medesima persona offesa - conclude il gip -, è confermata dalla valutazione della loro biografia penale". (AGI)