Teatro: “Il futuro siamo noi?”, emozionante finale al Morelli
Come vedono i bambini il loro futuro? E come vivono il loro oggi? Cosa si aspettano dagli adulti? Su questi interrogativi Dario De Luca, direttore della Scuola di Teatro – avviata quest’anno all’interno del progetto di residenza teatrale del Morelli, sostenuto da Regione e Comune di Cosenza – ha costruito lo spettacolo di fine corso della sezione giovanissimi, bambini dai 7 ai 12 anni.
E non è superfluo evidenziarne l’età, anzi. Perché sarebbe stato più naturale aspettarsi da loro uno spettacolo allegro e festaiolo; invece hanno spiazzato, a volte turbato, e attraverso l’arte suprema di rappresentazione della vita, che si chiama teatro, hanno svelato il loro mondo, dicendoci di quale tumulto di emozioni sia fatto.
Questo laboratorio su se stessi, che poi diventa espressione teatrale, è iniziato ad ottobre. In sette mesi i bambini che ieri abbiamo visto, sul palcoscenico del Morelli, in un affiatatissimo gioco di squadra – sono Daniele, Beatrice, Massimo, Angelica, Vincenzo, Sissi, Federico, Aurora, Luisa, Clarissa, Orlando, Veronica, Andrea – hanno imparato a guardarsi dentro, ad osservare e governare le loro emozioni, ad esprimere senza remore ed inibizione alcune come vedono questo mondo di adulti.
Viene anche il momento in cui un aspirante ‘leader junior’ incita la folla a ribellarsi a questo mondo di adulti….. “ma anche noi siamo stati fatti dai grandi”. E allora? Proviamo a cercare un dialogo.
Ispirato ai fumetti di Mafalda e Peanuts, lo spettacolo - alla stregua delle strisce fumettistiche, vera filosofia di vita, nelle quali tante generazioni di bambini si sono immedesimate - si è sviluppato in quadri: il colore che ogni bambino, indossandolo, attribuisce al proprio futuro; il rapporto con la cultura ed il libro nell’epoca degli smartphone e di WhatsApp, il racconto onirico, è il sogno che fanno di se stessi; il rapporto con i genitori.
I testi sono stati un lavoro di condivisione, in diversi momenti, tiene a dire Dario De Luca, sono elaborazione dei bambini, quando raccontano cosa gli piace di più di mamma o papà, o quando al fantoccio/genitore che entra in scena fanno mille richieste, rimproverandogli alla fine, e con quale durezza, l’incapacità ad ascoltare i più piccoli.
Ai piedi di quel fantoccio rimarranno soltanto i giochi e i peluche che quei bambini, ormai vecchietti claudicanti che si trascinano sulla scena della vita, lasceranno come segno di un’infanzia che reclamava attenzione.