Due miliardi di obesi o in sovrappeso, lo dice uno studio americano
L’obesità è una delle piaghe del nuovo millennio con incidenze pesantissime sul welfare di ogni stato per gli effetti sulla salute dei cittadini poiché già il semplice sovrappeso aumenta i fattori di rischio riguardanti le malattie cardiovascolari, il diabete e il cancro ed è all’origine di circa 3 milioni di morti premature ogni anno. Insomma un mondo con troppi chili di cui un terzo della popolazione ha problemi con la bilancia.
La conferma viene da uno studio statunitense pubblicato sulla rivista scientifica Lancet. Dal 1980 al 2013, periodo preso in esame, le persone in sovrappeso o obese sono passate da 57 milioni a 2,1 miliardi, dal 29 al 37% per gli uomini e dal 30 al 38% per le donne. A livello regionale viene sottolineato che il problema è particolarmente serio in Medio Oriente e in Nord Africa. Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia rappresentano i paesi ricchi dove il fenomeno è cresciuto di più sia per i maschi sia per le femmine.
Per quanto riguarda le nuove generazioni, anche in questo caso sono stati registrati dati preoccupanti: lo scorso anno, oltre il 22% delle ragazze e quasi il 24% dei ragazzi nei paesi sviluppati avevano chili di troppo. Il primato mondiale di obesità spetta alle popolazioni delle isole di Pacifico e Oceania (Nauru, isole Cook e Samoa, Tonga, Polinesia francese), dove il BMI medio raggiunge i 34-35kg/m2. Tra gli stati industrializzati, la crescita più impressionante di sovrappeso e obesità è stata riscontrata in USA. Nella corsa all’obesità dei Paesi ricchi, seguono Nuova Zelanda e Australia (donne), Regno Unito e ancora Australia (uomini). All’ultimo posto il Giappone, con un BMI medio pari a 22 per le donne e 24 per gli uomini.
In Europa ed in particolare Belgio, la Finlandia, la Francia, l’Italia (IMC 28 per le donne adulte) e la Svizzera non risulta esservi stato un incremento significativo dell’Indice, ma ciò non deve fare abbassare la guardia agli organismi deputati al controllo della salute pubblica. Alla luce di tale importante studio che Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” teneva a diffondere, affinché anche in Italia si approntino delle strategie pubbliche di prevenzione e cura per combattere il fenomeno, non possiamo non concordare nelle proposte autorevoli che vengono dalla Scienza dell'alimentazione secondo cui bisognerebbe realizzare in ogni regione centri di coordinamento di reti assistenziali che attraverso approcci multidisciplinari integrati di tipo riabilitativo, siano adeguate alla diagnosi e cura dell'obesità e dei disturbi dell'alimentazione ed articolate in unità ambulatoriali, semiresidenziali e di ricovero di riabilitazione intensiva.
In alcune regioni sta avendo successo il modello definito “hub and spoke” che prevede la concentrazione dell'assistenza di maggiore complessità in centri di eccellenza (hub) e l'invio dei pazienti ai centri periferici (spoke) in relazione alla prosecuzione del percorso terapeutico e riabilitativo.