Si rincorrono i nomi dei candidati, le speculazioni su possibili alleanze, i dibattiti sulla politica nazionale e sui grandi partiti. Scarseggiano, però, i programmi elettorali: tutti vogliono cambiare la regione in meglio, senza però avere neppure una lista concreta.
di Francesco Placco
Manca poco più di un mese alla tanto attesa tornata elettorale, ed in Calabria regna sovrano il gioco politico. I partiti nazionali si stanno impegnando più di quanto ci si potesse aspettare, ed il tutto solo per esprimere un nome, un volto, da portare trionfante alla vittoria o da bruciare come se niente fosse.
È un gioco politico, in fondo: le grandi manovre, come quella del centrodestra che ancora non è riuscito a trovare la quadra sul candidato unico (e che ha creato non poche fratture (LEGGI), con l’indiscrezione riguardante Jole Santelli), proseguono senza interruzioni, tra veti, indiscrezioni e malumori dei locali, oggi come non mai sottomessi al volere dei rispettivi partiti.
Discorso analogo per quanto accade nel centrosinistra: dopo i tentativi andati a vuoto di Mario Oliverio di farsi legittimare come rappresentante del Partito Democratico, questo ha optato per Pippo Callipo (LEGGI), non dopo diverse proposte ed altrettanti rifiuti.
La decisione - arrivata assieme ad un doppio commissariamento riguardante i circoli “oliveriani” di Crotone e Cosenza (QUI) - ha inevitabilmente frammentato parte del suo stesso elettorato, che sarebbe pronto a sostenere tutta una serie di liste civiche (LEGGI) a discapito del partito.
Non se la passa meglio il Movimento 5 Stelle, che dopo la scelta di Francesco Aiello (LEGGI) ha dovuto raccogliere i malumori non solo degli elettori, ma anche degli esponenti calabresi, dato che non tutti hanno gradito il nome “calato” dall’alto.
Si è dovuto ricorrere ad un piccolo passo indietro, e procedere ad una votazione per la scelta del candidato sulla piattaforma Rousseau (LEGGI), che ha visto spuntare lo stesso Aiello. Il tutto, mentre parte dell’elettorato grillino sta facendo attivamente campagna per un altro di candidato, Carlo Tansi.
In questo clima convulso, fatto di attese, accordi e strategie nazionali, l’attenzione di tutti è rivolta al nome, al volto. Il giusto candidato potrebbe fare la differenza ed ottenere un consenso più o meno ampio, grande abbastanza per scavalcare l’avversario.
Ma la scarna campagna elettorale (che verosimilmente si concentrerà tutta nel prossimo mese) fatta fondamentalmente di slogan tanto simili quanto datati, lascia trasparire uno spettro grottesco: la più totale mancanza di argomentazioni. Partiti e candidati si rincorrono l’un l’altro a suon di post, di frasi fatte, di annunci. Ma nessuno - almeno fino ad oggi - si è speso per spiegare il proprio programma.
Come intendono, questi candidati, affrontare i temi dell’emigrazione lavorativa? Alle porte del 2020, come affronteranno i progetti complessi, la nuova industrializzazione, la creazione di occupazione attraverso programmi mirati? Come cercheranno di arginare l’inarrestabile emigrazione, che come un’emorragia sta portando un’intera regione al collasso? E che piani hanno per la criminalità organizzata, per il malaffare, per la ‘ndrangheta?
È un mistero, reso ancora più fitto e nebuloso dalle solite argomentazioni e che, per tanto, rischia di essere un copione già visto. Sembra che ci si appresti ad avere un mero rappresentante di partito come governatore, un esecutore piuttosto che un negoziatore.
A poco più di un mese dalle votazioni, pare chiaro che prevarrà la giocata politica, con la sua strategia, i suoi calcoli, i suoi veti e le sue preferenze. Perché in fondo l’obiettivo è prevalere, vincere, a discapito di tutto il resto.