La “Guerra (persa) dei tavolini” e la sconfitta della politica del pressapochismo

10 maggio 2020, 09:48 Sr l'impertinente

“Tutte le grandi cose accadono intorno a un tavolo” (Giorgia Fantin Borghi). Tanto si discusse che, alla fine, il Tar della Calabria si pronunciò su quella che era diventata, da inizio maggio, l’ordinanza più celebre d’Italia, sia per il suo carico di aspettative quanto anche per il valore politico che le era stata attribuita.


di Sr* l’Impertinente

L’ordinanza in questione è, naturalmente, quella ormai arcinota della presidente della Regione Calabria, donna Jole Santelli, che si è messa di traverso al Governo nazionale anticipando l’apertura di bar e ristoranti, seppur con i tavolini all’aperto (QUI).

L’esecutivo non l’ha presa bene impugnandola con il ministro Francesco Boccia (un nome dal sapore quasi profetico): poi, effettivamente, il Tribunale Amministrativo l’ha bocciata (QUI).

Su questa ordinanza non si può certo dire che donna Jole non c’abbia messo la faccia, dato che per difenderla ha fatto - come avevamo già sottolineato - il giro di tutte le Tv nazionali e non solo (QUI).

In ogni sua sortita mediatica la governatrice calabra ha così difeso le sue scelte nonostante fossero un po’ in contraddizione con quelle assunte dalla stessa solo qualche giorno prima all’insegna del “chiudiamo tutto” prima che sia troppo tardi.

A calare il carico sulla vicenda è stato anche il vice di donna Jole, il signor Nino Spirlì, che con tutto il suo aplomb istituzionale così si era espresso: “E va bene. Il ministro Boccia ce l’ha impugnata. E, dunque, noi continuiamo…”.


“La tavola è senz’altro

il luogo in cui si notano

più facilmente

le carenze di etichetta”.

(Lisa Lorenzini)


Ma proprio per il grosso polverone mediatico sollevato dall’ordinanza della discordia, il contraccolpo che l’immagine della Regione ne ha ricevuto è stato davvero imponente, anche considerato quanto il Tar ha scritto nella stessa sentenza (QUI).

Il verdetto dei giudici - è bene precisarlo - ha infatti annullato l’ordinanza ma solo nella parte riferita all’apertura dei bar e ristoranti con tavolini all’esterno, mentre per la restante l’ha lasciata valida.

Il Tribunale amministrativo regionale ha poi ribadito che “non ci siano gli estremi per sospendere il giudizio e sollevare d’innanzi alla Corte costituzionale questione di legittimità del decreto legge” spiegandone anche le ragioni, ovvero che la Carta Costituzionale sancisca come “la libertà di iniziativa economica” preveda “che essa non possa svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Come se non bastasse ha rimarcato ancora che non è “prevista una riserva di legge in ordine alle prescrizioni da imporre all’imprenditore allo scopo di assicurare che l’iniziativa economica non sia di pregiudizio per la salute pubblica”.

A sottolineare, infine, l’illegittimità del provvedimento la determinazione che “non vi può essere dubbio che lo Stato rinvenga la competenza legislativa all’adozione del decreto de quo”.


“Un tavolo, una sedia,

un cesto di frutta

e un violino;

di cos’altro necessita

un uomo

per essere felice?”.

(Albert Einstein)


Sonore “bacchettate” per donna Jole ma non solo dal punto vista giuridico-amministrativo, quanto anche sul fronte sanitario, quando i giudici hanno messo in dubbio perfino le ragioni addotte a presupposto della stessa ordinanza.

Per il Tar, difatti, “l’ordinanza regionale motiva la nuova deroga alla sospensione dell’attività di ristorazione, mediante l’autorizzazione al servizio al tavolo, con il mero riferimento del rilevato valore di replicazione del virus Covid-19, che sarebbe stato misurato in un livello tale da indicare una regressione dell’epidemia”.

Lo stesso tribunale rileva però che “è ormai fatto notorio che il rischio epidemiologico non dipende soltanto dal valore attuale di replicazione del virus in un territorio circoscritto quale quello della Regione Calabria, ma anche da altri elementi”.


“La tavola e il letto

mantien l’affetto”.

(Proverbio)


Tra gli elementi indicati dal Tar, ed evidentemente ignorati dalla Regione, c’è poi “l’efficienza e capacità di risposta del sistema sanitario regionale, nonché l’incidenza che sulla diffusione del virus producono le misure di contenimento via via adottate o revocate (si pensi, in proposito, alla diminuzione delle limitazioni alla circolazione extraregionale)”.

In merito si fa notare anche che le restrizioni dovute alla necessità di contenere l’epidemia sono state adottate, e vengono in questa seconda fase rimosse, gradualmente, in modo che si possa misurare, di volta in volta, la curvatura assunta dall’epidemia in conseguenza delle variazioni nella misura delle interazioni sociali”.

Viene richiamato infine il principio di precauzione, che deve guidare l’operato dei poteri pubblici in un contesto di emergenza sanitaria quale quello in atto, dovuta alla circolazione di un virus, sul cui comportamento non esistono certezze nella stessa comunità scientifica”.


“Un uomo è di solito

molto più felice

di trovare

un buon pranzo

in tavola

che di avere

una moglie

che parla il greco”.

(Samuel Johnson)


Insomma, se donna Jole ed i suoi collaboratori non avessero capito l’antifona, i giudici amministrativi l’hanno incalzata proprio sul principio da lei stessa preso a riferimento ad inizio crisi: cioè quello della precauzione “per cui ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche”.

Il lisciabusso così si conclude: “È chiaro che, in un simile contesto, ogni iniziativa volta a modificare le misure di contrasto all’epidemia non possono che essere frutto di un’istruttoria articolata, che nel caso di specie non sussiste”.


“La tavola

è mezza

confessione”.

(Proverbio)


In sintesi e senza fronzoli dei sonori cazziatoni quelli del Tar alla Giunta calabrese e pure su più fronti - legislativo, amministrativo, sanitario e in certi frangenti anche politico - ma di cui la governatrice pare non curarsi affatto, tanto da affermare, immediatamente dopo la pronuncia, di prendere atto della decisione del tribunale amministrativo ma di non nascondere il suo “rammarico per una pronuncia che provoca una battuta d’arresto ai danni di una regione che stava ripartendo dopo 2 mesi di lockdown e dopo i sacrifici dei cittadini”.

E nell’invocare l’intervento Supremo della Corte Costituzionale aggiunge che il Governo Conte abbia “poco da esultare” perché si tratterebbe “di una vittoria di Pirro che calpesta i diritti dei cittadini, dopo che per 11 giorni l’ordinanza ha avuto validità”.


“N’ta tavula e n’to tavulinu

si canusci u cittadinu -

Dalla tavola

e dal tavolino

si conosce il cittadino

(vale a dire

la persona civile

si riconosce

dal suo comportamento

a tavola)”.

(Proverbio calabrese)


Donna Jole contesta poi e “con forza” la decisione politica di impugnare l’ordinanza che definisce come “la volontà, da parte del Governo, di imporre le proprie decisioni con pervicacia e violando l’autonomia della Regione Calabria”.

E visto che la questione ha assunto inevitabilmente i toni politici che in politica mai nessuno perde conclude sostenendo che la Regione “in ogni caso ha vinto, perché ha messo le esigenze del Sud al centro del dibattito e ha fatto emergere la necessità di discutere a fondo la Fase due”. Convinta lei!

Per concludere, la governatrice ha sfoderato anche un sussulto d’orgoglio, a nome dei suoi conterranei, sottolineando che la Calabria e il Sudabbiano vinto “perché hanno dimostrato di voler lavorare e di non pretendere politiche di assistenza”.

Tant’è che proprio in queste ore proliferano assunzioni a tutto spiano di autisti, capi struttura e non si sa cos’altro, ma solo nella sua squadra di governo. E peccato che l’ordinanza non l’abbiano digerita per primi proprio coloro che dovevano aprire bottega.

*Simbolo dello Stronzio