Fenomenologia delle nuove inchieste giudiziarie di un giovane sostituto procuratore pavese che “debutta” sull’impegnativo campo della magistratura in terra di Calabria. Prima con l’indagine sugli allevatori uccisi nel petilino (QUI), brillantemente risolta con l’arresto dei presunti assassini, poi con quella sugli impianti sportivi nel comune di Crotone (QUI), che ha fatto letteralmente crollare una giunta politicamente molto solida. Ancora con l’Operazione Ikaros (QUI), su migranti e permessi di soggiorno, e ora con l’arresto del Sindaco di Petilia Policastro, Amedeo Nicolazzi (QUI), il “reuccio” dell’olio d’oliva, un vero e proprio imprenditore politico “bipartisan”, il dr. Alessandro Rho si conferma protagonista in primo piano di una nuova stagione giudiziaria calabrese che sta già suscitando notevole attenzione sia a livello nazionale che europeo.
di Vito Barresi
Come “un bomber d’altri tempi”, il Sostituto Alessandro Rho, si è trovato di fronte alla porta di un ordinamento giuridico locale che riflette, e persino incorpora, ben determinati e cristallizzati rapporti di egemonia e dominio.
Quasi quasi manifestando la sua concreta consapevolezza che svolgere la propria azione come fosse sempre in trasferta, giocando apparentemente “fuori casa”, poi significa veramente fare gol che valgono sempre il doppio.
Veri e propri tiri di collo-piede che mandano il pallone in rete e colpiscono non solo il crimine e la devianza, soggettivamente intesi e individuati, ma che a “carambola” hanno anche il pregio di ristabilire i confini confusi, e talvolta divelti e cancellati, tra diritto pubblico e forza privata, azione penale e delitto depistante, legge e ordine, tra regole legali, malintese decorative e formali, e comportamenti sociali brutali e sostanziali.
Le sue sembrano indagini, a prima vista, esterne o collaterali al robusto e consolidato impianto politico-giudiziario della lotta al crimine mafioso e alla ‘ndrangheta, che ricordano a tutti i vantaggiosi risultati di un ritorno allo schema classico dell’inchiesta giudiziaria vecchio stile, piuttosto di tipo poliziesca che non invece corredata da più potenti e sofisticati mezzi speciali, metodiche del caso capaci ancora di mettere a soqquadro la scena casalinga e spesso scontata dei rapporti di potere tra legge e società locale.
Per questo, forse, egli pare prediligere tecniche d’indagine e decisioni operative che sembrano, a giudicare dalla varietà delle reazioni, incidere profondamente nella consolidata abitudine di concepire, spesso in modo distorto, lo stesso ordinamento giuridico dentro un contesto sociale locale come quello crotonese, meridionale, calabrese.
Ambienti tipici, di impianto a forte spicco “relazionale”, che tendono a mettere il diritto, la legge, la giustizia, al centro delle proprie logiche, dei propri interessi materiali, politici, economici, ecc., attraverso gli usi e le consuetudini culturali e forensi delle comunità territoriali, fino al punto di riuscire a sagomare un proprio concetto “condiviso” e collettivamente prevalente di legalità su quel determinato territorio.
C’è da credere, dunque, che chiunque voglia mettere mano nella infuocata e spesso intricata matassa che distingue la legge dal consenso, dovrà essere dotato di molta perizia e tanta fermezza, per evitare il rischio di ogni pregiudizio, colpendo dritto su quel sottile confine di ambigua contiguità in cui più non si distingue la legge da una più semplice, e non vincolate, norma sociale, l’obbligo del diritto dal costume culturale facoltativo.
In breve, l’effetto di queste nuove inchieste del giudice Alessandro Rho potrebbe anche essere quello di dare finalmente uniformità, persino più rigorosa certezza e garanzia, all’applicazione della legge, andando oltre ogni mediazione radicata nell’ampia galassia di modi e luoghi territoriali di concepire legalità e ruolo dell’ordinamento giuridico, sia in sede civile che penale.