Allevatori spariti a Pasqua nel crotonese. Ammazzati per banali motivi di “vicinato”
L’ipotesi degli investigatori si era concentrata sulla possibilità di un ennesimo caso di “lupara bianca”: le modalità della sparizione - e molto probabilmente dell’esecuzione - di Rosario e Salvatore Manfreda, padre e figlio di 68 e 35 anni, d’altronde, configuravano la tipica “metrica” mafiosa (LEGGI).
Quella “maledetta” domenica di Pasqua, nell’aprile scorso, i due agricoltori originari di Foresta di Petilia Policastro, nel crotonese, sono infatti scomparsi dopo essere usciti di casa a bordo del loro fuoristrada, un Ford Maverick che sarà poi trovato completamente bruciato (LEGGI).
Alla base della loro sparizione però si celerebbe un motivo, per così dire, più “spicciolo”: ovvero dissidi tra confinanti. Le indagini dei carabinieri di Petilia e del Nucleo Investigativo del capoluogo pitagorico si erano infatti concentrate, nei giorni successivi al fatto, su alcuni vicini di terreno, tra l’altro legati da vincoli di parentela tra loro ed anche con i due Manfreda.
A spiegare i presunti motivi della sparizione e del prevedibile duplice omicidio dei Manfreda è stato il comandante provinciale dei Carabinieri di Crotone, il colonnello Alessandro Colella che stamani, nel corso di una conferenza, ha parlato appunto di “banali litigi” tra confinanti, così come di invasioni di terreni da parte di capi di bestiame, e anche e probabilmente di un dissidio nato nel tempo per questioni ereditarie legate sempre ad un terreno.
Insomma, nonostante il nome delle vittime facesse pensare a motivazioni legate a questioni di ‘ndrangheta, così non sarebbe, anzi.
IL CERTOSINO LAVORO INVESTIGATIVO
Ma come sono arrivati gli investigatori a questa conclusione? A raccontarlo è stato il capitano Roberto Rampino, del Nucleo Investigativo dell’Arma di Crotone.
Si parte dall’analisi del luogo del presunto omicidio, ovvero di un’area di campagna difficilmente frequentata da chi non abbia qualche interesse a recarcisi, ovvero un fondo agricolo oppure degli animali. Un luogo, poi, dove soprattutto in quella mattina di Pasqua nessuno ci era andato. Eccetto i fermati, evidenziano gli inquirenti.
I militari, subito dopo la sparizione dei Manfreda, avevano acquisito le immagini di impianti si sorveglianza installati da privati quantomeno dei pressi dell’area interessata.
Si era così iniziato a monitorare proprio i movimenti delle vetture dei due Buonvicino (che si sarebbero spostati proprio nel posto in cui la sera successiva venne ritrovato il fuoristrada bruciato) e quella degli allevatori scomparsi.
Gli investigatori avevano poi acquisito tutti i tabulati telefonici degli attenzionati, e ricostruendo ogni “cella” avevano così abbinato le autovetture ai rispettivi conducenti.
“In un caso solo - ha spiegato il capitano Rampino - siamo stati più fortunati, perché grazie ad una telecamera si è riusciti a vedere l’autista, quindi non c’è stata necessità di approfondire”.
Il militare si riferisce in questo caso al mezzo di Lavigna “che però - prosegue Rampino - non si sposta in direzione del mezzo incendiato ma va tutt’altra parte con un carico di fieno”.
INSEGUITI ED AMMAZZATI UNO ALLA VOLTA
L’elemento che però fa ritenere agli inquirenti che i due Manfreda siano stati effettivamente ammazzati, sono stati i ritrovamenti - in più giorni e più posti - di importanti tracce ematiche e di resti cerebrali, nei pressi dei quali vi erano dei pallini in piombo e, più di recente, un bossolo di fucile calibro 12 (LEGGI).
“Con questi rinvenimenti - ha sottolineato ancora Rampino - tra l’altro a distanza l’uno dall’altro di circa 70 metri, la ricostruzione, effettivamente, è che le vittime siano state inseguite e soppresse prima l’uno e immediatamente dopo l’altro”, presumibilmente, dunque, mentre cercassero di fuggire dai loro carnefici.
Gli investigatori, inoltre, e per ottenere maggiori conferme alle loro supposizioni, hanno anche acquisito il Dna dei fermati che al momento è sotto analisi da parte degli specialisti del Ris di Messina.
RHO: “UN LAVORO DI RICOSTRUZIONE LOGICA”
Un lavoro certosino e “attento”, dunque, quello degli uomini dell’Arma che sono stati capaci fin da subito di “congelare tutte quelle che erano le fonti di prova nelle 24/36 ore successive al delitto”, così come ha spiegato invece il Sostituto della Procura di Crotone Alessandro Rho.
Difatti, in casi simili la prima fase d’indagine si riscopre come assolutamente fondamentale: “tutto un lavoro di ricostruzione logica” aggiunge ancora e soddisfatto Rho evidenziando come la scena del crimine non fosse delle più facili.
“Stiamo parlando di zone impervie, non stiamo parlando di un omicidio avvenuto in un’abitazione” sottolinea il magistrato.
“Stiamo parlando di mutamenti meterologici (che potrebbero “inquinare” i reperti, ndr) e che quindi anche le varie tracce stanno affiorando solo adesso, ma cionostante e grazie al lavoro di ‘congelamento’ delle prove … siamo riusciti nel giro di due mesi a dare secondo me una risposta alla collettività”.