Operazione ‘Total Reset’, maxi confisca alla cosca Pesce: sigilli a beni per 21 milioni

Reggio Calabria Cronaca

Un patrimonio del valore complessivo di circa 21 milioni euro è stato è stato confiscato, sia in Italia che in Austria, alla potente ed efferata cosca Pesce di Rosarno, clan egemone nella Piana di Gioia Tauro ma da tempo ramificata anche su tutto il territorio nazionale ed all’estero.

Oggetto del provvedimento beni immobili, beni mobili registrati, attività commerciali e disponibilità finanziarie; in particolare quattro società (comprensive del loro patrimonio aziendale) che operano nel settore agricolo e dei trasporti; 25 mila metri quadri di appezzamenti di terreno coltivati ad agrumeto e frutteto; tredici fabbricati, tra i quali spiccano tre ville lussuose una della quali a Baden bei Wien, capoluogo dell’omonimo distretto austriaco a sud-ovest di Vienna; rapporti finanziari sia bancari che postali che assicurativi.

I decreti di confisca, in tutto 12, sono stati eseguiti, nel corso dell'operazione Total Reset, dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria insieme allo Scico di Roma e con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia. Secondo le indagini eseguite dal Gico del Nucleo di Polizia Tributaria, si sarebbe accertato la sproporzione tra i modesti redditi dichiarati dai soggetti investigati oltre che dai componenti dei loro nuclei familiari, in rapporto agli ingenti investimenti effettuati e alle acquisizioni patrimoniali che gli sarebbero riconducibili.

Questa operazione è il frutto di uno stretto coordinamento tra le magistrature italiane e austriache e si caratterizza per essere uno dei primi casi, a livello internazionale, di richiesta di confisca ad un’Autorità Giudiziaria estera scaturita da una misura di prevenzione patrimoniale prevista dalla legislazione italiana.


I PROVVEDIMENTI sono il frutto e il coronamento di una lunga serie di accertamenti economico-patrimoniali avviati dal Gico del Nucleo di Polizia Tributaria di Reggio Calabria, finalizzati a circoscrivere e cristallizzare vari elementi, emersi nel corso delle precedenti indagini penali e di prevenzione, che gli inquirenti ritengono “sintomatici della continuità e metodicità delle condotte” poste in essere dolosamente per occultare e reinvestire i proventi ottenuti anche dall’esercizio di attività economiche “para-lecite”.

Tra i beni confiscati, vi sarebbero dunque i vasti appezzamenti di terreno, coltivati ad agrumeto e frutteto, che comprendono i titoli, rilasciati dall’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, che riguardano l’ottenimento di contributi comunitari. Ma ciò che ha attirato l’attenzione degli investigatori, sono tre ville di pregio, di cui una di oltre 300 mq, con annessa una dépendance di altri 200 mq e un giardino di oltre 700 mq. La struttura si trova nell’area residenziale del comprensorio di Baden nella bassa Austria.

I DESTINATARI DELLA SORVEGLIANZA SPECIALE

Sempre nel corso dell’operazione è stata disposta la misura di prevenzione personale della Sorveglianza Speciale, con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza e il versamento di una cauzione in denaro, nei confronti dei presunti sodali della cosca. Si tratta di Giuseppe Pesce (cl.’80), figlio secondogenito del capocosca Antonino PesceTestuni”, attualmente detenuto; Francesco Pesce (cl.’79), figlio di Giuseppe Pesce (cl.’54), detto “Pecora” (deceduto nel settembre 2010, germano del capo cosca Antonino “Testuni”) che avrebbe avuto un ruolo di strumento di collegamento e trasferimento di comunicazioni e ordini tra Antonino e gli altri associati, in particolare con il padre, nonché per lo svolgimento delle atti­vità mafiose impartitegli direttamente da quest’ultimo, attualmente detenuto dovendo scontare una condanna a 12 anni di reclusione e oggi destinatario della Sorveglianza Speciale per 3 anni tre; Francesco Pesce (cl.’84) figlio del boss Salvatore (cl.’61) detto “u Babbu”, che sarebbe un sodale con funzioni operative nell’approvvigionamento e detenzione di armi, esecuzione di rapine ai danni di imprenditori, atti intimidatori nei confronti di attività commerciali, nonché nel settore de­gli omicidi per conto del sodalizio; attualmente è detenuto, dovendo scontare una condanna a oltre 25 anni e destinatario della Sorveglianza Speciale per 4 anni quattro; Rocco Pesce (cl.’84), primogenito di Savino (cl.’63), l’ultimo dei germani del ramo genealogico del capocosca Antonino “Testuni” e partecipe con funzioni operative nel settore de­gli omicidi, anche lui detenuto per una condanna a 12 anni e destinatario della Sorveglianza Speciale per 3 anni; Vincenzo Pesce (cl.’86) fratello di Rocco (cl.’84), che sarebbe “partecipe con funzioni operative”, nell’approvvigionamento e detenzione di armi, esecuzione di rapine e atti intimidatori nei confronti di attività commerciali; detenuto per una condanna a 16 anni e 8 mesi, destinatario della Sorveglianza per 3 anni; Francesco D’Agostino (cl.’79), detto Beccaccia”, sodale con funzioni operative nell’approvvigionamento e detenzione di armi, esecuzione di rapine ai danni di imprenditori, atti intimidatori nei confronti di attività commerciali, detenuto per una condanna a 19 anni e 6 mesi, oggi destinatario dell’aggravamento di ulteriori due anni della Sorveglianza già precedentemente irrogatagli per 1 anno e 6 mesi; Mario Ferraro (cl.’49), ritenuto capo e pro­motore del Gruppo Ferraro sul territorio calabrese e delle relative ramificazioni operative in Lombardia, che si sarebbe curato cura degli affari illeciti della cosca Pesce, con compiti di pianificazione, organizzazione ed esecuzione delle attività estor­sive e del traffico di sostanze stupefacenti, attualmente detenuto per una condanna a 17 anni e destinatario della Sorveglianza per 4 anni; Andrea Fortugno (cl.’84), partecipe con funzioni operative, nell’approvvigionamento e detenzione di armi, esecuzione di rapine ai danni di imprenditori ed atti intimidatori nei confronti di attività commerciali, detenuto per una condanna a 9 anni e 8 mesi, oggi destinatario dell’aggravamento di altri due anni di Sorveglianza; Domenico Fortugno (cl.’81), detto Mico Ferruzzeddu, sodale con funzioni operative, nell’approvvigionamento e detenzione di armi, esecuzione di rapine ai danni di imprenditori ed atti intimidatori nei confronti di attività commerciali, già detenuto per una condanna a 16 anni, oggi destinatario della Sorveglianza Speciale per 3 anni; Rocco Palaia (cl.’72), genero del boss Salvatore Pesce (cl.’61) “u Babbu”, sodale con funzioni operative, nell’approvvigionamento e detenzione di armi, esecuzione di rapine ai danni di imprenditori ed atti intimidatori nei confronti di attività commerciali, detenuto per una condanna a 21 anni e 2 mesi, destinatario dell’aggravamento di altri 2 anni e 6 mesi di Sorveglianza; Alberto Petullà (cl.’60), partecipe della cosiddetta “cellula lombarda” della Cosca Pesce e punto di riferimento per il controllo di ampi spazi del territorio milanese e per lo sviluppo in quella zona delle attività delittuose, detenuto dovendo scontare una condanna a 13 e destinatario della Sorveglianza per 3 anni; Antonino Tirintino (cl.’59), partecipe al sodalizio con il ruolo di intestatario fittizio o, comunque, di intermediario nell’attività di intestazione fittizia di beni ed attività economiche facenti capo a Salvatore Pesce “U Babbu”, volta al reimpiego di capitali illeciti del gruppo, condannato a 2 e 6 mesi di reclusione e destinatario della Sorveglianza per 2 anni; Giuseppe Di Marte (cl.’56), detto Tetenna”, avente all’interno del sodalizio criminale funzioni operative nel settore del traffico di sostante stupefacenti e delle estorsioni, assolto nell’ambito del procedimento penale relativo all’operazione “All Inside”, e destinatario della Sorveglianza per 3 anni; Claudio Lucia (cl. ’65), considerato responsabile della cosca per gli investimenti in Lombardia e in territorio estero, e ritenuto tra gli elementi di spicco del Clan Pesce nonché il tesoriere e liquidatore delle spese legali per conto del Gruppo Ferraro; attualmente detenuto - dopo il suo arresto avvenuto il 10 marzo del 2011 in Spagna dove si era rifugiato per sfuggire al provvedimento cautelare di cui era destinatario sin dal 28 aprile del 2010, dovendo scontare una condanna a 17 anni e 10 mesi di carcere e oggi destinatario della Sorveglianza per 3 anni.

LE INGENTI DISPONIBILITÀ ECONOMICHE DEL CLAN

Gli investigatori, data la sua proiezione transnazionale, hanno posto particolare attenzione investigativa su Claudio Lucia (cl.’65), individuando e circoscrivendo il luogo dove ha trascorso parte della sua latitanza. Grazie al successivo coordinamento internazionale tra l’Autorità Giudiziaria austriaca e la Procura Distrettuale Antimafia è stato possibile giungere al sequestro e confisca della villa di oltre 300 mq, ubicata nell’area residenziale del comprensorio di Baden. Si tratta di uno dei pochissimi casi a livello internazionale di applicazione da parte di una Autorità Giudiziaria estera di una misura di prevenzione patrimoniale prevista dalla legislazione italiana.

A dimostrazione delle enormi possibilità economiche e finanziarie del clan Pesce e a conferma del ruolo di “tesoriere della filiale lombarda” di Lucia, sarebbe emerso, infatti, come quest’ultimo e la moglie rumena, Camelia Ana Culda (cl.’80), avessero la disponibilità, di carte di credito - tra cui la particolare “American Express Centurion”, conosciuta anche come “Carta Nera” o “Black” - solitamente rilasciata a clienti particolarmente facoltosi, considerati avere nella loro disponibilità di credito provviste rientranti nell’ordine di milioni di euro.

LA VILLA LUSSUOSA ACQUISTATA IN CONTANTI

Difatti, nel corso della complessa attività info-investigativa - originata da una missiva della Polizia Criminale austriaca di Molding - era emerso che il Claudio Lucia, all’inizio del 2009, aveva acquistato in contanti a Baden, storica località termale austriaca, una villa di rilevante pregio e del valore di oltre 1 milione di euro, intestandola alla moglie e, subito dopo, aveva commissionato ed eseguito sulla stessa ingenti lavori di ristrutturazione, per costi di oltre un milione e 500 mila euro anch’essi pagati, esclusivamente, con denaro contante e senza il rilascio della relativa documentazione fiscale, condizione questa espressamente dettata dal committente.

Successivamente, venuto a conoscenza del provvedimento di custodia del 28 aprile 2010, emesso nei confronti di quaranta appartenenti alla “cosca Pesce”, Lucia, allora irreperibile, avrebbe provveduto repentinamente ad alienare i suoi beni di maggior valore intestati alla coniuge rumena; in particolare, aveva proceduto alla cancellazione dal registro delle immatricolazioni austriaco, per trasferimento all’estero, di una Porsche Cayenne Turbo oltre che alla cessione della villa ad un cittadino rumeno Vasile Ilie, al prezzo di 900 mila euro a titolo di “compensazione” di un asserita pregressa debito, transazione questa poi rivelatisi - in virtù di circostanziati elementi acquisiti successivamente – “palesemente fittizia e funzionale alla sottrazione del bene dall’eventuale applicazione di provvedimenti cautelari e/o ablativi”, spiegano gli inquirenti aggiungendo che “tra l’altro, il citato Lucia … veniva tratto in arresto a Madrid (Spagna)” stessa “città dove risiedeva stabilmente il cittadino acquirente rumeno della prestigiosa villa”.

CAPITALI “RIPULITI” GRAZIE A PARENTI E COLLABORATORI

L’operazione di oggi, in sintesi, avrebbe avvalorato ulteriormente l’ormai noto assunto investigativo che attesterebbe come la “Cosca Pesce di Rosarno” si avvalesse della collaborazione di una nutrita schiera di soggetti, legati al clan da stretti rapporti di parentela o, comunque, dalla comune provenienza territoriale, per reinvestire i proventi delle varie illecite e “para-lecitein attività lecite, anche con proiezioni ultra-nazionali, “avviando così – spiegano sempre gli inquirenti - un piccolo e silente processo di colonizzazione di territori esteri, dove la legislazione interna ancora non riconosce la figura giuridica dell’associazione per delinquere di stampo mafioso”.

L’aggressione dei patrimoni illeciti, detenuti nello Stato estero, è stata possibile contestando infatti il reato di riciclaggio, previsto anche dal Codice Penale austriaco, a carico di Camelia Ana Culda e Vasile Ilie a fronte della contestazione dell’A.G. italiana dei reati del 416-bis (l’associazione per delinquere di stampo mafioso) e della “estorsione” nei confronti di Claudio Lucia, “non ravvisabile tuttavia nella similare fattispecie giuridica di cui all’organizzazione criminale, ex art. 278 C.P. austriaco, o di un’organizzazione terroristica, ex art. 278b C.P. austriaco”.