Cosca “Pesce”, beni per 2,2 milioni confiscati ad imprenditore reggino
Un ingente patrimonio è stato confiscato stamani dai finanzieri di Reggio Calabria, ad un imprenditore di Cinquefrondi, Domenico Fortugno (34 anni) considerato contiguo alla cosca di ‘ndrangheta dei Pesce di Rosarno, clan egemone nella Piana di Gioia Tauro e con importanti e radicate ramificazioni operative su tutto il territorio nazionale ed estero.
L’imprenditore è stato già condannato in primo grado (nel procedimento penale cosiddetto “All Inside”) a 16 anni di carcere per associazione per delinquere di tipo mafioso e (nel procedimento “Califfo”) a 5 anni per intestazione fittizia aggravata dalle finalità mafiose, in due distinti procedimenti penali. Inoltre è stato sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per 3 anni.
Gli investigatori avrebbero accertato una evidente sproporzione tra l’ingente patrimonio individuato e i redditi dichiarati dal soggetto, tale da non giustificarne una provenienza legittima. In particolare, sono stati confiscati le quote sociali e il patrimonio aziendale (comprensivo dei conti correnti) di due società di trasporti e quote di un fondo comune di investimento mobiliare del valore complessivo stimato in oltre 2,2 milioni di euro.
La confisca è stata eseguita dagli uomini del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria con il coordinamento della Procura della Repubblica.
Il provvedimento è stato emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale e rappresenta l’epilogo di una capillare attività investigativa svolta dal Gico di Reggio che avrebbe riscontrato un’ingiustificata discordanza tra il reddito dichiarato e il patrimonio a disposizione (direttamente o indirettamente) di Fortugno
LE INDAGINI ricondurrebbe due società di autotrasporto - di cui Fortugno, sebbene non ne fosse il titolare formale, ne sarebbe stato di fatto il dominus – “nel genus dell’impresa mafiosa”, sostengono gli inquirenti aggiungendo che “le stesse rappresentano una realtà aziendale il cui avvio e consolidamento” sarebbe stato “agevolato e sostenuto fin dall’inizio dalla cosca Pesce che dominava incontrastata il territorio di riferimento”.
Per gli investigatori questo elemento troverebbe un riscontro, innanzitutto, nelle dichiarazioni della collaboratrice di giustizia Giuseppina Pesce che aveva evidenziato come l’imprenditore 34enne, dopo aver sposato la cugina del presunto boss Francesco Pesce (37 anni) detto “u testuni” (classe 1978), “si fosse riconvertito da soggetto dedito alle rapine a imprenditore in ascesa nel settore dei trasporti costituendo e dirigendo le … società, pur non disponendo di risorse finanziarie”.
Oltre che dalle intercettazioni telefoniche e ambientali effettuate nell’ambito dei processi in cui è stato coinvolto Fortugno, un’altra conferma, in tal senso, arriverebbe dall’esame dei documenti contabili ed extra-contabili acquisiti nel corso della complessa attività investigativa. I militari, in particolare, riferiscono della documentazione relativa ad una delle aziende, la “Calabria Trasporti S.A.S.” sequestrata in occasione della perquisizione effettuata nel 2007 nei confronti di Francesco Pesce nonché ad un cosiddetto “pizzino” che fu sequestrato in carcere nel 2011 e scritto di pugno dal presunto boss (che era in partenza verso un altro penitenziario) e nel quale vi sarebbe stato proprio un riferimento a Fortugno (“Ass. Fortugno”) attestante la disponibilità di quest’ultimo “sino ad allora nel trafficare a vantaggio della cosca in assegni e non solo”.
Gli elementi di prova raccolti dagli investigatori fanno credere di aver delineato quello che gli stessi definiscono “un circuito perverso di illecite cointeressenze” tra il Domenico Fortugno e “u testuni” il quale, sostengono ancora gli inquirenti, “oltre a sistemare il cugino acquisito anche finanziando l’avvio delle sue attività imprenditoriali” avrebbe utilizzato tali società “per riciclare i capitali provento delle attività delittuose della cosca Pesce”, cosa che sarebbe stata dimostrata dal sequestro, presso i locali dell’altra azienda, la “Medma Trans S.A.S.”, che si trova al piano terra del fabbricato adibito ad abitazione di Fortugno, della somma di 91 mila euro in contanti. Il denaro era contenuto in confezioni di plastica sottovuoto nascoste nelle scatole di derivazione dell’impianto di illuminazione e del quadro elettrico del garage-magazzino.
Pertanto, scrivono gli inquirenti nel provvedimento, “ricorrendo i presupposti sia della disponibilità di fatto da parte di Fortugno … sia della derivazione illecita delle due società di autotrasporto si è proceduto a sottoporle a confisca” insieme al rapporto finanziario intestato a sua moglie, Maria Grazia Spataro.
In particolare, nei confronti di quest’ultima, è stata applicata la presunzione ex lege di disponibilità in capo al marito dei beni a lei intestati non avendo la stessa provato - a fronte di redditi ritenuti irrisori – “la provenienza lecita della provvista impiegata”.
I BENI CONFISCATI
Quote sociali e patrimonio aziendale (comprensivo dei conti correnti) della “Calabria Trasporti S.A.S.” di FABRIzIO Giuseppe & Co. e della “Medma Trans S.A.S.” di Fortugno Demetrio & Co., entrambe con sede legale a Rosarno; quote del Fondo BNL assetto comfort intestato a Maria Grazia Spataro.