Alchimie celesti per proteggere un mondo di Chimenti all’Expo
"Chi dell’Expò di Milano è già mediamente e, soprattutto, mediaticamente sazio,prima ancora di averla solo assaggiata, e ha l’anima affamata di colori e di segni, di armonia e di spiritualità dirotti su Venezia, magari arrivandoci via aria,che l’immagine da lassù, della città allagunata,vale da sola il viaggio. Atterri poi al Padiglione Tibet,nella Chiesa sconsacrata di Santa Marta,siamo nella zona del Porto,ma solo per un attimo,perché tornerà a volare dentro gli spazi celesti in cui annegano i loghi e i mostri,i simboli e i robot, i guerrieri e i miti di un artista raffinato, colto, originalissimo e persino calabrese, Pino Chimenti,da anni ormai frequentatore abituale di rassegne artistiche internazionali (New York, Chicago, Berlino, Londra, Malta, ecc.).
Sì, il pittore Chimenti è l’unico artista calabrese, che rappresenta lassù, nel Veneto,questo pezzo di mondo che, per fortuna, solo geograficamente si chiama Sud". E' quanto scrive in una nota critica Anna Rosa Macrì sulla partecipazione di Pino Chimenti all'Expo. "Zeus - continua la nota - che è il papà delle Muse,e anche Budda, per restare in territorio tibetano,che ha figliato gli sciamani,gli artisti li fa,e poi li accoppia insieme a quelli che godono le loro opere:magia di sguardo che è insieme scoperta sorprendente di un altro mondo – fermate questo, voglio scendere! – è memoria sommersa di un Bello e di un Vero che da qualche parte,in una vita precedente,quando eravamo puri e primitivi,dicono i buddisti, abbiamo già sperimentato. Non so quanti anni fa,anzi lo so,era il Duemila, m’imbattei,per serendipity,dato che ero a Taverna per Mattia Preti,in un’opera di Pino Chimenti ospitata in una rassegna di pittori calabresi. Fu un colpo di fulmine,come ogni tanto ne avvengono nella vita e anche nell’arte,che è la vita vera;espressi il mio ammirato stupore –Chimenti chi? – qualcuno glielo riferì, e nacque,anche un’amicizia.
“Colpo di fulmine di una pellegrina agnostica in un deserto esoterico percorso da fanti e affollato di canti”.
Ecco,così, per parafrasare uno dei titolo immaginifici che Pino Chimenti dà alle sue opere,popolate di “postini lunari” e “code piumate”,”golem telematici” e “giocolieri celesti”,”cartigli canditi” e “simbionti immaginifici”,potrei ribattezzare il mio incontro con quel “Chimenti”,un capolavoro di elementare calligrafia complessa,costruita con la sapienza stilizzata del miniaturista e la fantastica affabulazione del visionario e che era già un’opera compiutamente e inconfondibilmente “chimentiana”,nel senso della cifra,del linguaggio e della iconografia.
Hanno scomodato Klee e Mirò,LIcini e Steiberg(mah!),per decifrare e catalogare Pino Chimenti. Impresa impossibile. Gillo Dorfles,che è il suo mentore,dice:”che il sappia,non ci sono altri artisti che abbiano creato una serie di figurazioni così particolari,a prescindere dal valore tecnico e compositivo”. Come dire: Chimenti è Chimenti,è originale ed è già un classico. Per il Padiglione Tibet ha realizzato “Alchimie celesti per proteggere un mondo”,che già nel titolo evoca l’ombrello,sì,un ombrello!,che è il simbolo
del Padiglione Tibet di quest’anno. Strumento di riparo contrro la pioggia(ma anche di equilibrio pensate a “Le vacanze di Hegel di Magritte),e pure di protesta(pensate alla rivolta degli ombrelli di Hong Kong contro la Cina),l’ombrello di Chimenti protegge un mondo popolato di fenomeni isolati,che lui cesella a uno a uno con le linee e i colori,ma che,come nella religione buddista,sono tra loro legati in un flusso articolato che costituisce Armonia,come era prima del caos e come è dentro le sue opere senza luogo e senza tempo,sublimate in un ordine spirituale che è creazione e ri-creazione. Fino al 2 agosto, alla ex Chiesa di Santa Marta,al Padiglione Tibet,troverete ,dentro un quadro,e sotto un ombrello,le immagini per dirlo.
Tutto questo e molto,molto di più. Perché puoi scrivere fino a che ti si secca la penna per spiegare un quadro,e tu sei riuscito a dire la minima parte di quello che davvero l’artista ha significato. Così dice,più o meno,Leonardo da Vinci".