Partito comunista dei lavoratori, nota sulla povertà nel meridione
"I dati Svimez di fine luglio 2015 sull'immiserimento del meridione e sull'ampliarsi delle forbici che lo dividono dal nord fanno brutalmente piazza pulita delle chimere di una pallida ripresa dell'economia italiana.
La congiuntura è determinata dal deprezzamento dell'euro rispetto al dollaro e dagli effimeri primi effetti del Jobs Act". E' quanto si legge in una nota del Partito comunista dei lavoratori.
"La drammatica riproposizione - continua la nota - e l'aggravarsi della questione meridionale avvengono in un quadro di dissesto dell'economia mondiale.
La crisi greca è soltanto tamponata grazie ad un intervento usuraio che riproporrà tra qualche tempo il collasso di un paese già depredato dall'interno da orde di vampiri; decenni di crisi internazionale di sovrapproduzione, di restringimento della domanda sferrano i primi contraccolpi “al miracolo cinese” con l'effetto epidermico di una crisi della borsa che non cancella la presenza di un altro tarlo che mina il capitalismo del dragone cresciuto anche su un marcato impoverimento di grandi masse di lavoratori e pertanto con un' inevitabile contrazione del mercato interno. Ma una riflessione sulla crisi greca e sul contemporaneo precipizio dell'Italia meridionale si rende inevitabilmente prioritaria.
Nella costruzione della nuova Europa si sono riproposti in maniera ancor più forte i meccanismi dualistici propri dell'economia capitalistica. A pochi anni dalle melense celebrazioni sui 150 anni dell'unita' d'Italia si ripropone sulla difficile (e non affatto scontata) strada dell'Europa unita la combinazione tra lo sviluppo di poche aree geografiche e di ristrette aree sociali e il sottosviluppo di ampi territori che colpisce enormi masse impoverite. In più la pericolosità di questo intreccio cresce a dismisura rispetto ai tempi di Cavour e di Garibaldi perché avviene in una fase storica in cui il sistema capitalistico collassa progressivamente e non offre alcun elemento propulsivo all'umanità.
Il dramma odierno del meridione e di questa unione europea ripropone in forma e sostanza di tragedia un cataclisma di un secolo e mezzo addietro. Non è dunque il piagnisteo di cui offensivamente parla Renzi. E' impossibile bluffare sui dati; nel 2014 PIL per abitante è stato in Italia pari a 26585 euro, quello del nord è stato di 31586 euro, quello del sud e' stato di 16976 euro, quello calabrese (il più basso di tutti) è pari a 15807 euro.
In un raffronto con la derelitta Grecia emerge un dato ancor più drammatico costituito dal fatto che nel periodo 2000-2013 il sud è cresciuto del 13% a fronte di un livello greco quasi doppio (24%). E' chiaro che tutto vada preso con il beneficio del dubbio e tra i tanti elementi di riflessione non può non figurare quello relativo al peso che economia nera e mafiosa giocano all'interno del sud. Ma tanto più questo peso è consistente tanto più propone condizioni materiali e civili ancor più micidiali per le messe meridionali.
Altri elementi di riflessione vengono poi dai dati sulla disoccupazione giovanile nel sud certamente a livelli superiori del già catastrofico dato nazionale(44,2%) con un tasso pari a quello del 1977. Ulteriori elementi preoccupanti sono quelli relativi al fatto che il capitalismo italiano che, pure figura nell’élite d'Europa, è gravato da una micidiale zavorra che lo colloca al quinto posto per livello di disoccupazione tra i vari paesi dell'eurozona. Altre inquietudini si profilano dalle fosche stime delle autorità finanziarie ed economiche internazionali (OCSE e FMI) che prevedono il perdurare della crisi occupazionale italiana per altri venti anni.
La realtà è che, dopo un periodo di tempo storicamente breve in cui il capitalismo "trionfante" si spacciava come ultimo approdo per la storia umana, il baratro e' sempre più grande e ha cause strutturali.
Infatti la tirannia del capitale si è protratta con diversi aggiustamenti di sistema, di gestione politica della società e con diverse metodologie della “economia politica”. Dalla fase concorrenziale a quella monopolistica, dal liberismo alle alchimie keynesiane, dalla democrazia parlamentare, al fascismo e al nazismo, dai modelli “partecipativi” (Lula e Tsipras) a quelli neo-autoritari e bonapartisti, la musica suonata sul terreno dei rapporti economici tra le classi contrapposte ha visto sempre quelle egemoni sfruttare e immiserire in maniera crescente quelle subalterne.
E' dunque sul terreno politico che la partita va giocata e non su quello dell'economicismo che oggi perora le briciole di uno sviluppo immaginario proprio mentre si stringe il cappio al collo del condannato. Su questo terreno e' lunga e difficile la strada che le masse povere meridionali devono fare per riappropriarsi della coscienza del loro stesso essere.
Ciò è confermato dal fatto che i lai più alti sui dati Svimez si siano levati dal ceto politico e dal mondo dell'informazione filogovernativa. Ciò è confermato dal fatto che in un sud sempre più devastato materialmente e privo di elementi di orientamento classista la crisi del sistema di rappresentanza politica produce non solo un astensionismo disilluso e passivo ma anche i tentativi della demagogia di Salvini di costruire una presenza dinamica nelle masse.
Nel sud ,che è anche terra di frontiera e che subisce anche i virus della xenofobia oggi prodotti dai flussi migratori provenienti dal sud del Mediterraneo, è necessario dunque andare controcorrente per salvare la speranza. Tutto il contrario del esternazioni di Grillo contro i migranti, esternazioni che svelano chiaramente a quale modello complessivo di società guarda il Movimento Cinque Stelle.
È dunque sul terreno politico che la partita va giocata a cominciare dalla ferma condanna per l'ipocrisia che ha portato alla convocazione della direzione del PD per il 7 agosto sul tema del sud. Renzi qui ha prodotto estemporaneamente l'estensione della TAV , una prospettiva di nuovi scempi e speculazioni mentre il meridione ha bisogno di un piano per il trasporto sociale articolato organicamente sul territorio ed di alcune urgenti misure specifiche (potenziamento tratta FS Reggio Calabria - Taranto,riqualificazione della statale ionica 106, ecc.).
Anche qui la politica dell'immagine di Renzi cerca di coprire la realtà. Ma nessun colpo ad effetto, nessuna millanteria può nascondere la vera natura delle cose, la vera identità di un partito, il PD, che anche beneficiando delle difficoltà e della disarticolazione del centro destra, raccoglie sempre di più nel mezzogiorno ampi settori di ceto politico moderato e conservatore e che oggi governa tutte le regioni del Sud.
Nessun colpo ad effetto può nascondere che nello stesso momento in cui Renzi produce l'ennesima e fuorviante dichiarazione di intenti sul sud la sua politica colpisce in maniera micidiale le masse meridionali; tagli alla finanza locale, privatizzazione, svendita di aziende (per tutti l'ex Omeca di Reggio Calabria) colpiscono al cuore il sud e provocano un immiserimento di massa. Secondo le ultime rilevazioni un meridionale su tre e' a rischio povertà a fronte di un rapporto di uno su dieci esistente nazionalmente.
Il sindacato meridionale, da un verso assistenziale e dall'altro dominato da baronie e vertici burocratici, anche per questo dato ha bisogno di una svolta decisa.
Ma esiste poi un'altra tipo di miseria che vede il partito democratico protagonista negativo, sopratutto nel sud, di una questiona morale generalizzata che lo propone come spudorato soggetto centrale di malaffare, corruzione, pesanti e inquietanti collusioni. Cosa direbbe oggi Enrico Berlinguer ? E' questo lo sbocco di una politica dalle radici profonde; dalla svolta di Salerno allo stesso compromesso storico il gruppo dirigente del PCI ha lavorato per far maturare questa profonda mutazione genetica.
Mentre ciò avviene il precipizio del mezzogiorno rende in maniera per niente retorica ancora più attuale la costruzione di un blocco storico anti-capitalistico nel paese. Esso e' per i marxisti la ricomposizione autonoma delle classi subalterne e l'indipendenza del movimento dei lavoratori dalla borghesia e da tutti i suoi squallidi ciarlatani. Nel sud questa ricomposizione è tanto più urgente per sconfiggere le guerre tra poveri o le suggestioni di un blocco interclassista meridionale o tutte le forme di populismo più o meno strisciante (dai Salvini ai cinque stelle) che allontanano le masse povere del sud dalla conquista di una coscienza di classe.
In tutto il paese vanno oggi viste come urgenze straordinarie tutte le iniziative che puntano alla ricomposizione dell'unita' del fronte del lavoro come la riconquista di una contrattazione nazionale, la lotta al Jobs Act, la battaglia contro la devastazione provocata dalla “buona scuola”che ricade ancor più pesantemente nel meridione.
Tutti questi punti sono realmente l'unico programma di mobilitazione sociale utile per le masse del sud, un programma di obiettivi anti-capitalistici perché è nel capitalismo che si trovano le radici della nuova questione meridionale.
Un programma di classe lontano dai contorsionismi di Maurizio Landini e dalle sue attenzioni alla ricomposizione della sinistra governista e liberale; un programma di classe antitetico al fumisterie di Vendola che con scadenza sistematica sforna progetti di nuovi soggetti politici per avere più forza contrattuale nel variegato serraglio del ceto politico di sinistra e per rimuovere la pessima immagine delle sue gravi responsabilità e della sua collusione con la famiglia Riva nel disastro di Taranto.
Il dramma del sud è dunque la testimonianza di come alcuni punti forti della storia non siano patetiche “nostalgie ottocentesche”. La crisi del sud e' un intreccio tra la micidiale azione devastatrice delle classi dominanti e la debolezza della risposta del proletariato; è la lotta di classe in cui i più forti schiacciano inesorabilmente i più poveri.
Oggi più che mai senza un rovesciamento culturale e politico la crisi delle masse meridionali sarà senza speranza.
Oggi più che mai dentro questa crisi,proprio mentre emerge l'oggettiva attualità di una risposta socialista, a sinistra è necessaria una riflessione profonda sulla storia del movimento comunista.
Nel mentre sulle ceneri della sinistra radicale c'e' chi pensa di costruire “l'unita' dei comunisti” e' necessario ribadire che non serve la presenza di un elemento residuale che non vuole discutere delle distorsioni (come quella di un meridionalismo interclassista) e delle radici delle sconfitte e che si costruisce, pertanto, come nicchia di pura e semplice sopravvivenza.
Oggi più che mai la collocazione della crisi del mezzogiorno in un più ampio contesto europeo evidenzia come è necessaria una risposta di ampio respiro, non di segno solidaristico, ma di carattere classista e rivoluzionario.
Alle devastazioni del capitalismo che nel sacro nome degli interessi nazionali e della competitività mette gli uni contro gli altri milioni di esseri umani è necessario contrapporre qualcosa di radicalmente diverso. Ad esempio l'annullamento del debito pubblico, il ritorno nelle mani della società e delle classi diseredate di ingenti risorse finanziarie consentirebbe di avviare una politica di sviluppo per l'occupazione, la produzione di beni realmente utili, di servizi qualificati, di risanamento ambientale e territoriale.
E' questa una cosa che ha da fare solo con il tradimento di Tsipras che rischia di consegnare la Grecia alla reazione ? O è una cosa che riguarda anche il nostro martoriato mezzogiorno?
La domanda è retorica ma per molti la risposta non è scontata. Senza un soggetto collettivo,che operi andando controcorrente e cercando di crescere per come richiede la situazione oggettiva, senza l'unica soluzione progressiva, una prospettiva socialista, un governo nelle mani dei lavoratori, un'Europa del proletariato la crisi sociale sfocerà in un baratro ancor più profondo e politicamente reazionario. Il PCL è l'unico soggetto che da una risposta a questo inquietante dilemma posto oggi anche dalla nuova questione meridionale".