Lamezia. Colpo alla cosca Giampà, sigilli a case e beni di boss e parenti

Catanzaro Cronaca

Numerosi beni immobili e mobili, appartenenti alla criminalità organizzata, in particolare a vertici del clan “Giampà” e a due insospettabili “prestanome”, sono stati sottoposti a un sequestro finalizzato alla successiva confisca.

La misura, eseguita dalla Guardia di Finanza di Lamezia Terme, nel catanzarese, è stata attuata in esecuzione di provvedimenti del tribunale del capoluogo su richiesta del Procuratore Distrettuale Antimafia, a sua volta articolata sulle informative del Gruppo della guardia di finanza di Lamezia.

Il sequestro si basa su indagini di polizia economico-finanziaria, che avrebbero dimostrato come i beni siano di valore “del tutto sproporzionato ed ingiustificato” rispetto ai redditi leciti dichiarati, tenuto pure conto del tenore di vita agiato mantenuto negli ultimi anni dagli indiziati.

Ciò avrebbe consentito alle fiamme gialle di fornire alla magistratura un solido quadro indiziario per disporre il sequestro dei cespiti patrimoniali, rivelatisi di origine illecita o ingiustificati nel loro possesso, il cui valore va oltre 1.5 milioni di euro.

In particolare, la misura ha riguardato disponibilità finanziarie e beni mobili e immobili, fra i quali le abitazioni, rifinite lussuosamente, dei “vertici” della cosca e dei parenti più stretti, situate a Lamezia Terme e in alcuni comuni circostanti.

In esecuzione di provvedimenti emessi dalla Dda di Catanzaro, sono state anche effettuate delle perquisizioni. Inoltre, un esponente di spicco della cosca, oltre alle misure cautelari reali, si è visto recapitare un ennesimo avviso di garanzia. La Direzione distrettuale antimafia, infatti, sempre sulla base delle indagini delle fiamme gialle, gli ha contestato un’estorsione nei confronti di un imprenditore locale, le cui modalità sarebbero caratterizzate “da aspetti diversi” rispetto a quelle “tradizionali” finora accertate.

I finanzieri, nel corso delle indagini, avrebbero scoperto che l’indagato aveva avviato un’impresa di costruzioni, attraverso la quale voleva immettersi nel mercato lecito, anche allo scopo di costruire intorno alla sua figura di ‘ndranghetista una struttura economico-finanziaria tale da poter eventualmente giustificare i suoi averi o il suo elevato tenore di vita.

L’“imprenditore” avrebbe però imposto ad un altro soggetto di affidargli i lavori di edificazione di un fabbricato, peraltro a costi nettamente superiori rispetto a quelli che la vittima avrebbe sostenuto commissionando le stesse opere ad un’altra azienda.

La Dda, pertanto, ha ritenuto che in questa vicenda vi fosse ravvisabile un’estorsione aggravata commessa con modalità mafiose, in quanto la vittima non si sarebbe opposto alla richiesta dello ‘ndranghetista temendo che un suo rifiuto alle richieste dell’indagato potesse far scattare pesanti ritorsioni nei suoi riguardi.