Proventi della droga “ripuliti” con la frutta, un libro mastro incastra gli affiliati al clan
Quattro fermi e alcune aziende finite sotto sequestro. Questo l’esito di un’operazione portata a termine dalla Guardia di Finanza di Cosenza, diretta dal Procuratore Aggiunto della Dda Giovanni Bombardieri e del Sostituto Antimafia Pierpaolo Bruni.
I fermati, tutti di Cetraro (Michele e Fabrizio Iannelli, rispettivamente di 40 e 38 anni; Christian Onorato, di 27 anni e Pierangelo Iacovo, di 26) sono ritenuti legati alla cosca Muto e accusati di aver dato vita ad un imponente traffico di stupefacenti. L’indagine, durata più di un anno, avrebbe consentito di smantellare il sodalizio e di svelare come la ‘ndrangheta cetrarese impiegasse i capitali provento della vendita di droga.
I Finanzieri hanno infatti sequestrato un ingrosso e due punti vendita al dettaglio di frutta e verdura che sarebero stati intestati fittiziamente ad alcuni prestanome ma di fatto gestiti da Michele Iannelli, detto “Tavolone”. Dopo un anno di intense attività, la Dda di Catanzaro, partendo dagli elementi emersi nel corso delle investigazioni, ha emesso i quattro provvedimenti per evitare che gli indagati potessero darsi alla fuga e tre decreti di sequestro d’urgenza delle ditte, con lo scopo di mettere fine ad una presunta attività di riciclaggio che, oltre a ripulire i soldi della droga - è la tesi degli investigatori - avrebbe garantito altri guadagni al clan condizionando il mercato ortofrutticolo di una vasta area della provincia.
Circa un anno fa i Finanzieri hanno scoperto una vera e propria raffineria di droga sulle alture di Cetraro: un’imponente centrale adibita allo stoccaggio, confezionamento e distribuzione di grosse partite di marijuana e cocaina gestita dalla ‘ndrangheta locale. Migliaia di piante, di cui oltre tremila in fase di essiccazione e altre sessanta pronte per il travaso e circa due quintali di “erba” stipati in cinquanta balle, ciascuna contenente un quantitativo di droga variabile tra i due e i cinque chilogrammi e migliaia di semi di qualità pregiata, provenienti probabilmente dal mercato olandese.
NEL “FORZIERE” DEI NARCOS
Un avanzatissimo sistema di produzione: un impianto “industriale” di essiccazione intensiva, completo di apparato di areazione perfettamente funzionante e di un sistema di illuminazione, capace di sfruttare al meglio anche la luce naturale (per mezzo appositi pannelli trasparenti installati al soffitto) integrato da lampade alogene, e un impianto di irrigazione e di riscaldamento.
Ma non solo marijuana. Vennero ritrovati anche 400 grammi di cocaina, conservata sottovuoto, e pronta per essere spacciata, sostanza in polvere utilizzata per il “taglio”, strumenti e contenitori necessari per il confezionamento dello stupefacente e tre ciclomotori di provenienza furtiva. A protezione del tutto un sofisticato impianto di videosorveglianza attraverso il quale si riusciva a controllare tutti i “movimenti”.
Le Fiamme Gialle sono certe di esser penetrate nel punto più segreto per ogni narcos: dove cioè si conserva il vero e proprio “tesoro”. Un tesoro da circa 10 milioni di euro che gli affiliati alla cosca Muto intendevano difendere con ogni mezzo. Durante le perquisizioni sono state difatti ritrovate due pistole, un fucile a pompa, due carabine e migliaia di munizioni.
IL “LIBRO MASTRO” DEL CLAN
Sin dai primi momenti i militari si sono resi conto che dietro una produzione tanto imponente non poteva che esserci la lunga mano dei potenti clan. È così che, sotto l’egida della Direzione Distrettuale Antimafia hanno cercato ogni singolo elemento utile per risalire la filiera e rintracciare i responsabili del traffico di droga.
Una mano agli inquirenti è arrivata con la scoperta del cosiddetto “libro mastro” del Clan: vendite di grosse partite di stupefacenti, acquisti di materiale per la coltivazione e lo stoccaggio della marijuana e per il taglio della cocaina e, soprattutto, la spartizione dei proventi tra i quattro fermati che compaiono sistematicamente in ogni appunto dove si procede alla divisone degli “utili”. Da qui sono iniziati mesi di lavoro dedicati a decriptare cifre e sigle, riuscendo a dare un nome ed un volto ai componenti del sodalizio e ricostruire un volume d’affari di enormi proporzioni.
Per gli investigatori Michele Iannelli sarebbe il leader della consorteria che riciclava i proventi in una serie di attività commerciali dalle parvenze lecite, punti vendita di prodotti ortofrutticoli che l’uomo, già colpito da misure cautelari per essere stato coinvolto in altre inchieste della DDA di Catanzaro, avrebbe intestato ad una serie di prestanome tra cui lo stesso Onorato.
Iannelli si occupava poi della gestione dei tre esercizi commerciali, pretendendo dai suoi collaboratori - spiegano ancora gli inquirenti - ordine e disciplina, rimproverandoli per i ritardi nelle consegne o per le mancate riscossioni dei crediti. Quando questi si dimostravano incapaci nel farsi pagare dai clienti sarebbe stato lo stesso Tavolone a farsi avanti per risolvere le “pendenze” sfruttando "fama e stazza fisica”.
Nei confronti delle cosiddette “teste di legno”, a loro volta denunciate per la normativa antimafia in materia di intestazioni fittizie, sono state estese le attività di perquisizione che hanno consentito il sequestro di altra documentazione che potrebbe rivelarsi utile per consolidare le posizioni dei fermati.
Per i militari viene così scoperto e represso uno dei canali attraverso il quale la ‘ndrangheta cetrarese ripulirebbe i soldi della droga, distorcerebbe il mercato lecito emarginando contribuenti onesti e creando un nuovo monopolio di illegalità.