Polistena si racconta ai ragazzi di “Impronte e ombre”
Sabato, 16 aprile 2016, Polistena ha fatto gli onori di casa alla prima visita-studio del progetto “Impronte e ombre”, sostenuto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento della Gioventù), e realizzato da un partenariato di associazioni di Reggio Calabria.
È questa la prima tappa di una serie di incontri con le realtà istituzionali e associative dei comuni partner del progetto nella provincia di Reggio Calabria, appuntamento che completa il percorso formativo sulla storia della ndrangheta e sulle storie delle vittime innocenti di ndrangheta intrapreso diversi mesi fa dai partecipanti di Reggio e provincia.
Alla lunga video-intervista al sindaco Michele Tripodi è stata dedicata la mattinata, presso il Comune. Alle molte domande dei partecipanti, infatti, il sindaco di Polistena ha risposto costruendo un’interessante conversazione sulla storia del paese e dell’intero territorio della Piana di Gioia Tauro, in cui ancora oggi c’è la necessità di mettere la lotta alle mafie come primo punto del programma elettorale.
La “storia” personale del primo cittadino Tripodi non è sfuggita all’attenzione dei giovani di Impronte e Ombre che si erano preparati per l’incontro, in primis la sua appartenenza ad una famiglia la cui storia è la storia di militanza politica di Polistena, vissuta schierandosi sempre apertamente contro la ndrangheta. Delle sue ultime campagne elettorali, il giovane sindaco spiega che nonostante la lunga linea tracciata, serve ancora dichiarare apertamente che i voti della mafia non sono accetti: la chiarezza serve a tracciare una linea netta di separazione. E col suo riportare sempre la sua esperienza e vicenda alla carica che vive con passione, anche alle domande sulle intimidazioni a lui e alla sua amministrazione comunale, numerose dal 2010 ad oggi, il sindaco dà risposte ben chiare, che esprimono il suo sentire fortemente il proprio ruolo e non transigere in alcun modo. Oltre le denunce puntuali, spiega, è il far sapere alla gente ciò che succede, quello che si subisce: per non sentirsi soli è necessario condividere la propria esperienza facendo sì che diventi motivo di riscatto di una comunità intera.
Di grande interesse per gli ospiti di Impronte e Ombre, per la sua vasta risonanza simbolica, la decisione di cambiare la toponomastica del paese, un’operazione che ha volutamente coinvolto parecchie aree della cittadina dove risiedono famiglie che di sicuro non hanno amato di abitare in vie intitolate a vittime quali Giuseppe Impastato, Giudice Antonino Scopelliti, Ilaria Alpi, ecc. L’operazione fa parte di un percorso di cambiamento di mentalità e di sensibilizzazione efficace, che porta la memoria al centro del quotidiano, che trasforma il linguaggio comune dei cittadini e quindi la loro vita.
Questo uno dei tanti trait d’union che ha coniugato il racconto mattutino dell’ impegno civile della “militanza laica” a Polistena, alla lunga rivoluzione operata da chi ha anche la fede religiosa come ulteriore lotta contro il potere arrogante delle cosche. Perché Impronte e Ombre nel pomeriggio si è intrattenuta con gli operatori del nascente presidio di Libera nel centro polifunzionale Don Pino Puglisi, a Piazza Valarioti. Anche qui, proprio come lo stesso edificio del comune, è innanzitutto il luogo che cambia volto oltre che storia. È passato il tempo in cui a quell’edificio ci si riferiva in città col nome del bar malfamato che occupava il pianterreno, o con quello del ristorante di lusso del piano superiore. Sono finiti gli anni in cui alla scuola frequentata in gran parte da studentesse, in un altro piano ancora, si accedeva dallo stesso bar-“ritrovo” in cui avveniva lo spaccio di stupefacenti.
A sottolineare ulteriormente questo cambiamento, ad ospitare la visita al centro polifunzionale del gruppo di Impronte e ombre, sono state le nuove generazioni, ventenni e trentenni cresciuti con l’esempio di Don Pino de Masi sin da quando erano bambini. Illustrano bene il lavoro che si svolge oggi in quell’enorme palazzo, dove i lavori di ristrutturazione ̶ offerti anche quelli da giovani architetti, oggi riuniti in associazione che lavora per riportare la bellezza in tutta Polistena ̶ hanno spazzato via, coi luoghi mafiosi, anche l’estetica del potere che tali luoghi esprimono. Al posto dei vetri a specchio che garantivano la privacy, dalla strada, di astanti del ristorante e dei loro grandi matrimoni, regna oggi la trasparenza, letterale, dei vetri che al contrario irradiano l’intera piazza della luce delle attività serali dei volontari all’interno. La sede di cooperative sociali, l’Ospedale di Emergency e tante altre attività sono ormai la realtà di quell’edificio restituito alla collettività. Il centro aggregativo giovanile porta il nome di Luigi Marafioti, il preside di quel vecchio istituto scolastico, che decise di gettare letteralmente in piazza i banchi per protestare contro il fatto che lo Stato pagava l’affitto ai mafiosi.
Questi ragazzi impegnati, ieri bambini, ci raccontano che hanno sentito prima la parola antimafia e che per questo hanno dovuto capire cos’era la mafia. E che erano già in quella Piazza, quando nessuno ancora la chiamava col nome già dedicato ma non pronunciato, Valarioti, il 21 marzo del 2007, quando la manifestazione di Libera contò 30.000 persone. La loro fortuna? Ci dicono: aver avuto l’esempio di adulti che con coraggio nel passato hanno scelto da che parte stare, hanno scelto di resistere e di combattere la ndrangheta. In un tempo lontano in cui non la cronaca non si occupava di “inchini” a dir poco imbarazzanti, don Pino de Masi fece proprio cambiare il percorso della processione. E la statua della Madonna della Catena passò dietro l’edificio malfamato di proprietà dei Versace, non davanti, come atteso.
Questi giovani impegnati di Polistena esprimono con determinazione il proposito più importante che li muove: occuparsi di trasmettere ai bambini lo stesso dono che loro hanno ricevuto da piccoli. Il loro sogno? Riuscire a “contagiare” l’intero territorio attorno a Polistena, poter diventare riferimento per centri come Rizziconi, Taurianova, tutti quei luoghi dell’intera Piana in cui denunciare è ancora molto rischioso. Lasciare le “impronte” anche loro, nel gergo del progetto di Reggio che li ha incontrati per il futuro percorso condiviso.