Accusato di sfruttamento della prostituzione, assolto dopo 4 anni di carcere

Reggio Calabria Cronaca
La Corte di Cassazione

La Quarta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso presentato e discusso dall’avvocato Francesco Sorace di Taurianova, ha annullato senza rinvio, perché il fatto non sussiste, la condanna inflitta in Appello a Reggio Calabria, il 12 ottobre del 2015, a Boka Zoltan, un cittadino rumeno che era accusato dalla Dda di gravissimi reati come la tratta e la riduzione in schiavitù di due sue connazionali, F.T. e S.M., e di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione delle stesse donne.

Il rimeno era stato arrestato a Rosarno il 14 gennaio del 2011. La Corte d’Assise di Palmi, presieduta da Silvia Capone, nel luglio 2013 l’aveva condannato a tredici anni di reclusione. La Prima Sezione della Corte d’Assise di Reggio Calabria, presieduta dal Bruno Finocchiaro, il 6 marzo 2014, accogliendo solo in parte l’appello proposto dal legale Sorace, aveva poi ridotto la pena a 6 anni e 6 mesi assolvendolo dai reati di tratta (il traffico di esseri umani) e riduzione in schiavitù.

Quest’ultima sentenza era stata impugnata in Cassazione, la cui Terza Sezione, nel gennaio 2015, accogliendo il ricorso discusso dall’avvocato Sorace, aveva annullato, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello, la sentenza di condanna a sei anni e mezzo. In virtù dell’annullamento Zoltan era stato rimesso in libertà il 21 gennaio del 2015, dopo oltre quattro anni di carcere.

Rifattosi il procedimento di appello davanti alla Seconda Sezione della Corte d’appello reggina, presieduta da Roberto Lucisano, il rumeno, nonostante tutta l’istruttoria dibattimentale fosse indirizzata all’assoluzione, era tato nuovamente condannato a 3 anni e 6 mesi per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione.

Il 30 settembre scorso, dopo un lungo travaglio giudiziario, la Cassazione ha però messo la parola fine al processo, assolvendo definitivamente Zoltan, al quale rimane il grave danno patito dalla privazione della libertà personale e da una ingiusta detenzione durata quasi 1.500 giorni, oltre all’amarezza dell’iniquo trattamento subito in Italia.