Poste: in Calabria a rischio 400 posti, Carchidi: “non possiamo permettercelo”
“Alla giungla di Calais, si aggiunge la giungla dei call center, sempre più alimentata da committenti scellerati e poco attenti alla salvaguardia di un settore ormai alla deriva. Così accade che uno tra i più grandi committenti italiani di call center, tra l'altro uno di quelli che sanno ancora di partecipazione pubblica, Poste italiane, riesce nella assurda gestione di una gara a 4 lotti, con scelte manageriali ai limiti della credibilità, a creare problemi a tutti, generando migliaia di esuberi”.
Queste le parole di Daniele Carchidi, segretario generale della Slc Cgil Calabria che commenta in maniera dura le scelte manageriali di Poste Italiane che mettono a rischio 400 posti di lavoro nella nostra regione.
“Aziende assegnatarie delle commesse - continua Carchidi - che hanno fatto investimenti per gestire quei volumi di traffico ora costretti a gestire esuberi. Aziende che hanno perso le attività che prospettano esuberi per mancanza di lavoro. Il Mise che sovrintende alla stipula si accordi per l'applicazione della clausola sociale che diventano inapplicabili per la mancata assegnazione delle attività. Le organizzazioni sindacali che si ritrovano con vertenze con migliaia di esuberi da gestire in più parti d'Italia. E, infine, non per importanza, migliaia di lavoratori che rischiano di perdere il lavoro, a causa di una gestione degli appalti da parte di Poste Italiane che non si comprende se sia dettata da malagestione o malafede. Nell'uno o nell'altro caso, qualcuno dovrà rispondere del proprio operato, a causa del quale un intero settore da circa un anno vive in fibrillazione, e migliaia di lavoratori rischiano il posto di lavoro, tra cui 400 calabresi dislocati tra Lamezia Terme, Reggio Calabria e Crotone”.
Ma andiamo con ordine ricostruendo quello che sta accadendo. Nel dicembre 2015 Poste Italiane decide di affidare all'esterno le proprie attività di call center attraverso un bando per l'assegnazione di quel lavoro suddividendolo in 4 lotti. L'assegnazione avviene prima della fine dell'anno. Il 13 gennaio 2016 viene votata la legge in Parlamento che prevede l'applicazione delle clausole sociali nel settore call center. In pratica la legge prevede che in caso di cambio di appalto il lavoratore segue il lavoro e quindi l'azienda che subentra nell'appalto deve rilevare i lavoratori. La gara di Poste diventa un caso mediatico perché rischia di far perdere migliaia di posti di lavoro in diverse città d'Italia.
Diverse vertenze causate da questo bando di gara finiscono al Mise per gli impatti occupazionali derivanti. Poste decide di sospendere l'assegnazione delle gare mantenendo lo status quo in attesa che al Mise si raggiungano intese volte a salvaguardare i lavoratori. Nel frattempo gli assegnatari delle attività ricorrono legittimamente al Tar per il mancato affidamento delle attività, visto che nel frattempo avevano anche assunto lavoratori dopo la comunicazione di assegnazione della gara. Al Mise vengono raggiunti accordi per il rispetto della clausola sociale e il Tar si pronuncia ritenendo legittime le richieste dei ricorrenti e rinviando a gennaio 2017 la sentenza. Gli accordi raggiunti al Mise vengono sospesi in quanto le aziende rilevanti non hanno certezza di avere le attività da far svolgere ai lavoratori rilevati. Negli ultimi giorni Poste comunica che direzionerà il traffico verso qualcuna delle aziende vincitrici, senza che nemmeno il Mise possa intervenire a far valere la clausola sociale. Il risultato di tutto questo sono esuberi in Campania e Lazio (Gepin), esuberi in Calabria (Abramo Cc - System House) e alcune assunzioni in Campania (Ccsud).
“Non è possibile che un'azienda a proprietà del 50% dello stato da un lato fa accordi per la salvaguardia occupazionale e dall'altro è la causa stessa di questo disastro. Pensiamo sia giunto il momento - conclude Carchidi - di risolvere definitivamente il problema. Il Governo non può permettere che una azienda a partecipazione pubblica, per malafede o malagestione, non rispetti le leggi dello Stato, non risponda ai richiami alla responsabilità del Ministro Calenda, e metta per strada migliaia di lavoratori. E soprattutto la Calabria non può permettersi questo ennesimo scempio occupazionale, che sa ancor più di beffa se perpetrato da una azienda a partecipazione pubblica, pertanto invitiamo la Regione Calabria e la deputazione parlamentare calabrese a intervenire su questa annosa questione a sostegno di centinaia di lavoratori calabresi che rischiano il proprio posto di lavoro vittime di politiche manageriali illogiche”.