Il consigliere regionale Greco sulla situazione dell’immigrazione
"Negli ultimi mesi ogni sindaco non soltanto di questa regione si è visto recapitare una missiva da parte dei Prefetti delle varie province che in forma coatta, secondo disposizioni di Governo, chiedono di “accogliere” nei propri comuni le diverse “quote” dei migranti e se il diniego, avendone le capacità, non è ammissibile è invece concepibile “scegliere” chi voler “ospitare”; questo da solo dà la misura della questione. Il punto è che non si tratta più di ospitalità".
E' quanto scrive il consigliere regionale Orlandino Greco. "Gli emigranti che raggiungono le coste calabresi - continua - non sono gente che chiede ospitalità e per le quali si deve decidere se ospitare o rifiutare. Il problema è altrove. E se “l’accoglienza diffusa”, che consiste innanzitutto nel non concentrare in un unico spazio centinaia di persone ma nel suddividerle sul territorio italiano agevolandone l’inclusione e l’integrazione, evitando soprattutto la ghettizzazione, potrebbe essere un valido strumento nella gestione della problematica non è certo la soluzione”.
“Già un anno fa – aggiunge Greco - trattai l’argomento (ragionando con il prof. Giuseppe Ferraro, coautore del libro Italie, dove in più parti affrontiamo la questione) e avanzai alcune ipotesi almeno auspicabili per la risoluzione della più grande emergenza che l’Italia intera e la Calabria, come la Sicilia e Puglia, si trovano ad affrontare prima di tutti. E’ il “grande” si riferisce non alla problematica in sé e per sé ma perché è prima di tutto un’emergenza umana. A cui la politica, italiana ed europea, non può rimanere sorda o improvvisare azioni momentanee ma deve inevitabilmente trovare soluzioni applicabili che non ledano nessuno, né i diritti universali né quelli del popolo ospitante, dei cittadini, soprattutto quando si tratta di piccole comunità che già soffrono la quotidianità”.
“Il modello Riace o quello messo in atto dal già sindaco di Acquaformosa Giovanni Manoccio, lodevole da un punto di vista della solidarietà e dell’accoglienza, da soli non bastano e devono essere supportati e incoraggiati da azioni ancora più mirate e soprattutto a lungo termine. C’è bisogno di leggi che – dice ancora il consigliere - non servano soltanto a gestire la situazione iniziale degli sbarchi e della prima accoglienza; c’è bisogna di una politica che non si nasconda dietro a sigle SPRAR, CDA, CARA, ecc., che non solo non risolve il problema ma accentuano e aggravano la situazione mortificando anche la dignità di queste genti. C’è l’urgenza d’intervenire con una programmazione seria che tenga conto dei vari contesti territoriali che si trovano ad affrontare, dall’oggi al domani, una così pesante situazione”.
Per Greco “Politiche come la Riforma Agraria, se fallimentare nel passato, può rivista e corretta rappresentare una risposta, soprattutto in realtà come quelle calabresi che soffrono ormai da anni l’abbandono di intere aree e settori come l’agricoltura e l’artigianato. Una politica che sappia dare risposte concrete e legiferare correttamente serve anche a contrastare la corruzione e l’illegalità che si muove in questi contesti, non è più un mistero che dietro i flussi migratori ci sia la mano della criminalità organizzata ed interessi economici altissimi gestiti da lobby di potere che alcune cooperative e associazioni di fatto sono e che traggono il loro business mercificando la vita di queste persone”.
“Se all’Italia, che è più esposta come Paese di passaggio alla grande invasione della disperazione, le si danno semplicemente tanti soldi in più per farne fronte – continua Greco - non si fa altro che alimentare questo stato di cose, corrompendo chi già fa della corruzione e della confusione lo stato della propria amministrazione. I sistemi di sfruttamento della disperazione, la corruzione, l’uso distratto del denaro pubblico mostrano chiaramente che non ci sono affatto progetti, programmi, intensioni, fini di altre soluzioni, che non vanno nella direzione né del buonismo né del populismo. Né con Renzi, né con Salvini, è fin troppo ovvio prendere le distanze dall’uno e dall’altro”.
“Fino a quando Paesi come l’Italia non si attrezzeranno a rispondere alle nuove sfide con nuovi modelli di sviluppo che tengano conto soprattutto del benessere sociale, allora – continua - resteremo a sentire le lamentale del populismo elettorale di chi vuole governare con la sola promessa di non rubare o di protestare contro gli altri che non sono capaci di fare quello che loro farebbero uguale e meglio e dall’altra parte di quel buonismo dell’ospitalità imposto dall’alto per giustificare logiche che certo non hanno come fine ultimo la vera inclusione e il rispetto dell’altro”.
“Non si tratta di accogliere ma promuovere un nuovo sviluppo sociale ed economico diversificato che risponde ad esigenze di partecipazione di genti interne ed esterne, dal momento che di questo confine si tratta non confini geografici ma confini economici, di chi sta bene e di chi sta male. Le famiglie, le donne con in braccio i figli, le religioni finanche sono le stesse, il bisogno di vivere è del tutto lo stesso, sono le forme d’esistenza che devono parteciparsi perché sia possibile una comunità allargata e non chiusa. A chi viene nelle nostre terre, a chi giunge in Calabria e in Italia, a chi sceglie l’Europa come salvezza, non bisogna dare l’ospitalità dei campi chiusi da inferriate distribuendo pasti e riconoscimenti di stato di disperati, bisogna piuttosto offrire loro un’opportunità di rinascita reale e di concreta inclusione.”
Greco riafferma, in conclusione, “che uno strumento legittimo può essere la Riforma agraria, dare campi da coltivare, da lavorare, da vivere, da abitare insieme per un progetto di partecipazione alle sorti delle terre che non sono di conquista o di espulsione ma di sviluppo comune, così da rispondere anche alle richieste e alle esigenze delle comunità dei paesi ospitanti. Stando insieme e contribuendo allo sviluppo del benessere di ogni realtà territoriale, si possono stabilire quote di accoglienza solidale e d’integrazione sostanziale. Ci sono paesi in Calabria del tutto abbandonati, per calamità naturali o per calamità sociali, quando non si hanno più braccia per lavorare né intelligenze da attivare, dove è possibile trasformare le “quote da posto letto” in quote di partecipazione allo sviluppo e alla crescita. Questo è il limite, questo è il confine ma è un confine partecipato. Così come Atene fu culla della democrazia e la Calabria sin dagli albori ne ha incarnato l’animo e lo spirito, questa regione può essere la scuola europea della solidarietà attraverso la partecipazione comune, senza più demagogia e falsi buonismi”.