Flussi migratori: è guerra al bracconaggio, al via l’operazione Adorno
Il fenomeno del bracconaggio sullo Stretto di Messina è legato principalmente al flusso migratorio che ogni anno interessa questi territori. Lo Stretto rappresenta infatti una delle tre direttrici principali, insieme a Gibilterra ed al Bosforo, su cui si muovono i grandi flussi degli uccelli migratori sull’asse Europa-Africa.
Si tratta di massicci spostamenti che avvengono nel periodo primaverile, a ridosso della stagione riproduttiva, con direzione sud-nord verso i distretti di nidificazione del centro e nord Europa e, nel periodo autunnale, quando i migratori ritornano nei siti di svernamento in Africa, posti anche in aree sub sahariane.
Questa ricostruzione dei percorsi compiuti dai migratori transahariani serve a comprendere il motivo per cui spesso molti volatili transitino bassi a dispetto di ottimali condizioni meteo (ma stremati dal lungo volo) e come mai a volte affrontino l’attraversamento dello Stretto di Messina anche con condizioni meteo avverse.
Si presume che per molti di loro questo ultimo braccio di mare sia un ostacolo relativamente breve rispetto a quanto affrontato fino a quel momento, e che per loro sia dunque preferibile superarlo anche in condizioni avverse, anziché rimanere “al di qua” dello stesso.
A questa ipotesi si associa anche la fretta che caratterizza la migrazione primaverile ed eventuali frequenti perturbazioni, soprattutto se africane (i venti di scirocco), ritardano il viaggio (vento in genere troppo forte per consentire l’attraversamento del Canale di Sicilia), ponendoli inevitabilmente - pur di arrivare presto - ad affrontare il maltempo che per molti di loro è purtroppo fatale.
Questo fenomeno, che investe le città di Reggio Calabria e Messina, coinvolge centinaia di migliaia di esemplari di vari rapaci di varie taglie e specie di grandissimo interesse naturalistico oltre che la fauna particolarmente protetta dalla legge italiane e comunitaria, ha sedimentato nei secoli l’interesse del mondo venatorio su queste “prede”, facendo diventare l’attività cinegetica una vera e propria “tradizione” molto radicata nei costumi locali. Attività perfettamente legale fino alla fine degli anni ‘70 ma che è oggi diventata illegale.
Durante questa pratica venatoria fino agli anni ‘70, appunto, venivano abbattuti migliaia di esemplari appartenenti a specie di enorme interesse naturalistico, con un massiccio ed incontrollato impiego di armi da caccia non solo dalle postazioni “tipiche” in calcestruzzo di cui erano, ed in parte sono, costellate le coste calabresi e siciliane che si affacciano sullo Stretto, ma anche dai balconi e terrazze di edifici in pieno centro cittadino, creando, tra l’altro, non pochi problemi di sicurezza pubblica.
Per contrastare tutto ciò, il Corpo forestale dello Stato, dagli inizi degli anni ’80, ha pianificato ed organizzato dei servizi specifici di prevenzione e repressione del bracconaggio durante la primavera anche nel periodo autunnale. Attività che ha previsto l’impiego di un contingente specifico, denominato “Reparto Adorno”, in riferimento al nome con cui localmente viene definito il Falco Pecchiaiolo.
Si tratta di una unità del Cfs proveniente da tutto il territorio nazionale e che ha portato, nel tempo, a una notevole riduzione, sia sul versante siciliano che calabrese, del fenomeno che, ad oggi, nell’agro reggino può essere considerato confinato a specifici ambiti territoriali ed a specifiche pratiche che vedono l’uso anche di armi da sparo contraffatte, con matricola punzonata, provenienti per lo più da furti ai danni dei cacciatori o in appartamenti.
A conferma di ciò, la Forestale evidenza come l’area dello Stretto di Messina sia stata inserita tra i sette black-spot, ovvero aree in cui il fenomeno del bracconaggio è particolarmente intenso, indicati nel “Piano d’azione nazionale per il contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici”, redatto dall’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale del Ministero dell’Ambiente e proposto da quest’ultimo, in attuazione alla “Strategia nazionale sulla Biodiversità”, ed oggetto di un apposito accordo tra le parti raggiunto nella seduta della Conferenza Stato-Regioni del 30 marzo scorso: quindi meritevole di particolare attenzione dal punto di vista del contrasto al fenomeno.
Per l’anno in corso, il Comando Unità Tutela Forestale Ambientale e Agroalimentare (CUTFAA) dell’Arma dei Carabinieri, nel quale all’inizio dell’anno è confluito il Corpo forestale, ha voluto dare un nuovo impulso a questo servizio, importantissimo, di tutela della fauna selvatica, mettendo in atto un dispositivo di prevenzione e repressione tanto sul versante calabrese che, e questo accade per la prima volta, sul versante siciliano.
In sinergia con il personale Reparti specializzati già presenti sul territorio interessato alla migrazione, infatti, stanno operando altri 30 militari del NOA (il Nucleo Operativo Antibracconaggio) del CUTFAA, assistiti, dove necessario, da colleghi dell’Arma territoriale.
Le funzioni di coordinamento e comando sono affidate alla Centrale Operativa Regionale, alla quale afferisce anche il numero 1515 di emergenza ambientale, a cui si può segnalare qualsiasi atto illegale ai danni della fauna migratoria ed all’ambiente.
Per tutto il periodo della migrazione, dunque, stanno operando su entrambi i versanti dello Stretto numerose Associazioni ambientaliste, anche straniere, tra cui Legambiente, Lipu, Wwf Italia, Cabs (Committee Against Bird Slaughter), Man (Associazione Mediterranea per la Natura), in collaborazione con la Nabu tedesca, Progetto Natura di Milano.
I volontari svolgono attività sia scientifica di avvistamento e censimento degli animali in transito che di monitoraggio e segnalazione degli eventuali episodi di bracconaggio. Con Legambiente, Lipu e Wwf Italia, il Comando Generale dei Carabinieri, nelle settimane scorse, ha già sottoscritto degli specifici protocolli d’intesa finalizzati alla cultura della legalità ed alla tutela dell’ambiente da realizzare su tutto il territorio nazionale.