La coca americana e la marijuana fa da te: così la droga inondava la Locride

Reggio Calabria Cronaca

Fiumi di cocaina fatta arrivare in Italia dal Sudamerica, sfruttando soprattutto il porto “amico” di Gioia Tauro; la marijuana, invece, si produceva, e consumava, praticamente a chilometro zero.

A gestire il business, come noto oltremodo lucroso, tre diversi gruppi: due ad occuparsi prevalentemente dell’importazione dalla Colombia e dall’Ecuador dei grossi carichi di polvere bianca nascondendola nei containers in viaggio sulle navi commerciali; l’altra specializzata appunto nella coltivazione della canapa indiana e nella vendita all’ingrosso e al dettaglio della marijuana prodotta “in casa”.

Un affare a cui ritiene di aver messo fine la Dda di Reggio Calabria che stamani, con l’operazione Pratì (QUI), ha stretto all’angolo i tre gruppi facendo scattare le manette ai polsi di diciassette persone, finite tutte in carcere, mentre altre quattro, irreperibili, sono invece ricercate a livello internazionale.

Gli arresti sono stati eseguiti dalla Squadra Mobile tra Platì e Siderno, in Calabria, e nelle città di Milano, Spoleto, Pavia e Voghera.

Il broker e l’intermediario

L’indagine parte dalla ricostruzione di un tentativo di importazione, sempre dal Sudamerica, di una importante partita di coca finanziata da soggetti di Mammola ancora non identificati.

L’operazione sarebbe stata curata da due indagati già coinvolti due anni fa nell’operazione “Malea” (QUI), essendo ritenuti rispettivamente un “Capo Società” e un “Mastro di Giornata” della locale di ‘ndrangheta del piccolo centro sullo Jonio reggino.

Da quelle investigazioni, conclusesi con l’arresto di dodici persone indiziate di appartenere alla cosca Scali-Abbate (QUI) emersero le figure dei due che per gli inquirenti sarebbero stati perfettamente inseriti nella gestione di un traffico internazionale di stupefacenti, uno come broker incaricato dei contatti con i narcos colombiani e l’altro come intermediario tra il broker ed i committenti mammolesi.

I tre gruppi calabresi

Dallo sviluppo di quelle indagini, quindi, si è arrivati ad individuare i tre gruppi, perfettamente strutturati, sebbene con alcuni soggetti in comune, operativi a Platì, Siderno e nelle aree limitrofe.

Come anticipavamo, il primo sarebbe stato impegnato nel traffico di coca dal Sudamerica all’Italia attraverso la mediazione di broker e intermediari.

Il secondo sarebbe stato invece in grado di instaurare rapporti privilegiati con i narcos, tra i quali alcuni esponenti del Clan del Golfo, potente organizzazione criminale colombiana.

Il terzo gruppo, infine, sarebbe stato specializzato nella coltivazione di canapa indiana, dello stoccaggio, del confezionamento e della commercializzazione della marijuana.

Ruoli e funzioni di quest’ultimo erano ripartiti professionalmente tra i partecipi che hanno evidenziato una particolare perizia nella scelta dei terreni, nella selezione sei semi da impiantare e nelle modalità di illuminazione e irrigazione delle piante.

I carichi di stupefacente

Sono stati ricostruiti anche alcuni tentativi di far giungere in Calabria circa 300 chili di coca che avrebbero fruttato, sulle piazze di spaccio, un giro d’affari superiore ai trenta milioni di euro.

La droga sarebbe dovuta arrivare a bordo delle navi che percorrono la rotta commerciale dalla Colombia alle coste italiane, nascoste nei containers usando modi sempre diversi per non essere scoperta.

Il trasferimento, tuttavia, pur a fronte di cospicue somme di denaro versate come acconto, non si è poi concretizzato per degli impedimenti di varia natura emersi nella fase delle trattative.

Il pacco affidato a Dhl

Non mancavano però espedienti alternativi per l’importazione; in un caso, gli investigatori sono riusciti ad intercettare la spedizione di un normalissimo pacco affidato al corriere DHL (del tutto estraneo ai fatti) al cui interno vi era un chilo di cocaina purissima contenuta in chicchi di caffè. Il plico è stato poi sequestrato nel centro smistamento dell’Aeroporto di Ciampino, a Roma.

L’organizzazione poteva contare anche su calabresi che vivevano stabilmente in Colombia e che seguivano tutte le fasi della spedizione, dalle tecniche di occultamento ai documenti di viaggio fino alla individuazione della nave da utilizzare per il trasporto.