Mafia: joint venture con ‘ndrangheta, soldi coca investiti in case
Un “patto” tra 'ndrangheta e mafia per importare 600 kg di droga da Panama. "Non è la prima volta - spiega un investigatore del Gico della Guardia di Finanza - che queste due entità criminali si accordano, ma mai come questa volta il volume dell'affare, poi sfumato, era enorme, se si pensa a quanto valgono 600 kg di cocaina non ancora tagliata".
Era una joint venture quella messa in piedi da siciliani e calabresi, attivi nel milanese da oltre 20 anni ma stavolta con una 'forma' nuova, una vera e propria “società” con una struttura capillare in grado di riciclare il denaro frutto dei traffici in ambito immobiliare attraverso imprenditori che mettevano a disposizione i loro conti correnti per ripulire i soldi.
Coinvolti anche due importanti personaggi del mattone a Milano, due fratelli B.P e B.N., entrambi arrestati, così come altri immobiliaristi di Pavia e Torino.
Guardia di Finanza di Milano e Bologna e Polizia del capoluogo lombardo hanno sequestrato 115 tra abitazioni e terreni (tra cui una villa con piscina nel cagliaritano e una a Vermezzo) e oltre 40 tra automobili (anche una Ferrari) e motoveicoli.
Sequestrati anche conti correnti, quote societarie e una serra con piante di marijuana riconducibile a uno degli arrestati, V.G. Il valore complessivo stimato dei beni sequestrati ammonta a oltre 50 milioni.
A fare da tramite tra le famiglie siciliane e calabresi sarebbe stato un broker, A.S. che, arrestato e poi scarcerato perché la droga in suo possesso era falsa, cerca le forze dell'ordine e inizia a collaborare.
Schiacciato da 700mila euro di debiti e picchiato dagli affiliati alle organizzazioni criminali perché non riesce a pagare, preferisce cercare la protezione delle forze dell'ordine e raccontare tutto.
A lui, perfetto conoscitore dello spagnolo, spettava di mantenere i contatti con l'estero, Spagna e Panama. Tra i 49 destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Stefania Donadeo, in maggioranza italiani e molti incensurati, spiccano i nomi di Ugo Martello e Luigi Bonanno.
L'indagine parte proprio dalla loro scarcerazione, nel 2005, quando quest'ultimo, appena riassaporata la libertà, si sarebbe recato a Palermo dove si sarebbe messo a disposizione delle famiglie emergenti che fanno capo al boss Salvatore Lo Piccolo.
Bonanno sarebbe stato delegato a un'operazione di traffico di droga col Sudamerica e lì i suoi destini si sarebbero incrociati con un altro soggetto, a sua volta vicino al clan dei fratelli Pellegrino, attivi a Milano da molto tempo.
È da quel momento che inizia una febbrile attività di pedinamento da parte delle forze dell'ordine che consente di scoprire l'imminente arrivo in Italia di 600 kg di coca destinati ai mercati milanese, calabrese e siciliano.
Gli arrestati (anche colombiani, cubani, egiziani, albanesi e marocchini) tenevano i contatti tra loro anche attraverso “pizzini” che si scambiavano in un bar a Milano, in via Fratelli Zoia 43.
Le accuse ipotizzate dalla Dda antimafia di Milano sono traffico internazionale di droga, estorsione, lesioni personali, intestazione fittizia di beni, detenzione di armi clandestine e simulazione di reato.