Dà fuoco alla casa per ammazzare sei rumeni, anche due bimbi: boss finisce in carcere
Un’accusa grave, quella di tentato omicidio plurimo oltre che di incendio doloso, aggravati dalle modalità mafiose; ed un metodo a dir poco raccapricciante per mettere in atto il gesto: avrebbe dato fuoco ad un’abitazione per causare la morte di sei persone presenti in casa, tutte straniere, dei rumeni, tra cui anche due bambini in tenerissima età.
Il fatto risale alla notte del 27 febbraio scorso quando il rogo fu appiccato ad un’abitazione nella zona sud di Reggio Calabria.
Un riparo di fortuna per una donna rumena di 46 anni senza fissa dimora, che ospitava quel giorno altri connazionali con i bambini.
Gli occupanti stavano festeggiando un compleanno quando improvvisamente si accorsero delle fiamme che divampavano all’interno, e fecero appena in tempo a mettersi in salvo scavalcando una finestra posteriore che dava su un cortiletto circondato da alti muri di cinta.
Appena scattato l’allarme al 113 i Vigili del Fuoco e le Volanti si erano immediatamente recate sul posto per domare l’incendio. Il tentativo di ucciderli, dunque, andò così a vuoto.
LI VOLEVA BRUCIARE VIVI PER UN SACCHETTO DELL’IMMONDIZIA
Stamani, però, la Squadra Mobile - che ha indagato sull’accaduto - su ordine della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica, ha eseguito – nell’ambito di un’operazione denominata Nerone - un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un elemento ritenuto di vertice della ‘ndrangheta reggina e che gli inquirenti accusano di essere l’autore materiale dell’incendio.
Si tratta di Antonino Labate, 68enne considerato come un elemento di “elevato spessore criminale” ed appartenente all’omonima cosca della zona sud della città dello Stretto.
La tesi investigativa è che Labate, durante un litigio, la mattina del rogo, avrebbe picchiato con un bastone la donna rumena che occupava l’immobile con i suoi ospiti, minacciandoli di “bruciarli vivi” perché avevano abbandonato alcuni sacchetti di spazzatura accanto all’ingresso di un podere di sua proprietà.
Il 68enne, quindi, sarebbe passato dagli “avvertimenti” ai fatti, cospargendo di benzina e dando fuoco all’androne dell’abitazione.
IL BIDONE DI BENZINA RIEMPITO AL DISTRIBUTORE
Per far luce sull’episodio si sono rivelati fondamentali i filmati registrati dai sistemi di video sorveglianza esaminati dagli investigatori della Polizia. L’accurata analisi delle immagini - immortalate dalle telecamere posizionate sulle strade vicine al luogo del fatto – avrebbe consentito agli specialisti della Mobile di accertare che, nello stesso pomeriggio, Labate, a bordo di una bicicletta elettrica, sarebbe andato a riempire un bidone di benzina in un distributore di carburanti della zona, dopodiché sarebbe andato a casa dei rumeni per appiccare il rogo.
L’incendio avrebbe messo in serio rischio la vita dei sei - donne, bambini e un uomo – rivelandosi mortale per gli occupanti dell’immobile se gli stessi non avessero avuto la prontezza d’animo di scavalcare la finestra sul retro ma anche di attutire le fiamme con coperte, prima che arrivassero i soccorritori.
La Direzione Distrettuale Antimafia contesta a Labate anche l’aggravante mafiosa perché i fatti sono stati commessi per agevolare l’attività dell’omonima cosca “avvalendosi – affermano gli investigatori - della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva”.
IL CONTROLLO DEL QUARTIERE
Il clan controlla infatti il quartiere Gebbione, zona sud della città delimitata a nord dal torrente Calopinace ed a sud dal torrente Sant’Agata.
La conferma dell’esistenza e dell’operatività del clan sarebbe stata documentata in diverse indagini, coordinate dalla Dda, tra le quali merita un cenno particolare quella passata alle cronache giudiziarie come l’operazione “Olimpia”, che ha dato vita al noto processo e al termine del quale è stato anche evidenziato come per molti anni fotto sotto la posizione dominante del carismatico capo storico ed indiscusso, Pietro Labate (classe 1951), attualmente detenuto e fratello di Antonino.
Al termine delle formalità, Labate è stato condotto nella Casa Circondariale di Reggio Calabria a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.