Reggio Calabria, Rita Spanò: “Ripensare l’Educazione alla legalità”

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Le brillanti operazioni di polizia degli ultimi mesi hanno disvelato, anche ai più distratti, la rete di collusioni e complicità con le strutture mafiose che, a vari livelli, ha frenato lo sviluppo e il progresso di questa città. Indagini serie, intelligenti, capillari hanno finalmente fornito le prove di quanto tutti sospettavamo e percepivamo anche da semplici cittadini. Dallo sconforto, e dalla quasi rassegnazione, siamo passati alla speranza che questo cancro ormai in metastasi possa almeno essere arginato. Il merito di aver ridato fiducia nel futuro va a figure istituzionali di grande prestigio morale ed elevata competenza, che hanno saputo ergersi a testimoni -finalmente credibili- della tutela della legalità. Nei giorni in cui una parlamentare dalle telecamere nazionali urlava “a Reggio volano bombe”, i Procuratori, i Magistrati, le Forze dell’ordine stavano svolgendo con serenità e con passione la loro professione o, come essi stessi umilmente spesso ripetono, il loro dovere.Abbiamo oggi tra noi, infatti, figure delle istituzioni, delle associazioni, del giornalismo di cui andare fieri e che hanno svolto un ruolo determinante nella sensibilizzazione della società civile, passata dalla diffidenza e dall’indifferenza a una aperta solidarietà nei confronti degli operatori della legge.In coincidenza con questa svolta nella lotta alla mafia, i vari media riferiscono, con una frequenza più alta che in passato, di iniziative di “educazione alla legalità” rivolte ai giovani studenti; si tratta per lo più di incontri nelle scuole o nelle sale della Regione e della Provincia, di bandi di concorso, di workshop, ecc., con lo scopo di sensibilizzare i giovani al problema della illegalità e della delinquenza mafiosa.Iniziative, a parere della sottoscritta, tutte utili, ma che non possono definirsi di “educazione alla legalità”. Durante un incontro rivolto a studenti selezionati è possibile fornire informazioni, spiegare fenomeni, dare suggestioni, illustrare un libro o una ricerca, orientare scelte di vita, ma non si fa autentica educazione.L’educazione, infatti, etimologicamente, con l’azione dell’e-ducere, del tirare fuori dai giovani le risorse utili per stimolare il loro processo di maturazione, ha in sé quel carattere della sistematicità, della continuità, dell’interattività che le iniziative sopra nominate non possono avere. La legalità è “habitus mentale” ha detto correttamente il procuratore Di Landro ai ragazzi. E promuovere questo habitus è compito principalmente della famiglia e della scuola, che i valori non deve insegnarli, ma testimoniarli nella quotidianità e nella loro totalità, senza frammentarli in educazioni che perdano di vista l’Educazione, la maturazione della persona. Per le scuole e nelle scuole si fanno attualmente progetti contro la cultura del pizzo, contro la violenza sulle donne, contro il lavoro nero, contro la pedofilia, contro la mafia, contro le discriminazioni razziali, ecc senza con questo fare Educazione. In assenza di un progetto che faccia leva su valori condivisi, la famiglia delega alla scuola, la scuola delega alle associazioni, le associazioni delegano agli esperti, con i risultati finali per l’istruzione e la formazione che sono sotto gli occhi di tutti. La pubblicazione nei giorni scorsi dei dati OCSE relativi alle competenze dei quindicenni nel 2009 mostra che, a fronte di un miglioramento nazionale complessivo, a livello regionale si riscontrano ancora forti differenze, con il Nord che supera la media Ocse (Nord-Ovest 511, Nord-Est 504) e il Sud e le isole che mostrano valori inferiori al punteggio nazionale (rispettivamente 468 e 456). Su questi dati dovrebbero riflettere i responsabili della Scuola dal livello regionale alle singole realtà scolastiche, ma anche i responsabili delle altre Istituzioni locali (Questore, Prefetto, Magistrati, ecc) per individuare strategie che vadano concretamente contro la dispersione scolastica. Per i dati di cui sopra la sottoscritta propone una chiave interpretativa integrativa: c’e’ da supporre che sulla loro negativita’ influisca il fatto che i ragazzi del Sud a scuola ci vanno poco , tanto che in alcuni indirizzi formativi della secondaria superiore l’assenteismo è mediamente al 37%. Tale interpretazione, oltre che essere confortata dai numerosi anni di esperienza lavorativa nella scuola , sembra corroborata dalla constatazione che dell’assenteismo scolastico sembrano si siano resi conto coloro che, nei pressi di ogni scuola o sezione staccata, hanno aperto una sala giochi o un chiosco . Tra le tante rilevazioni che si fanno, potrebbe, allora, trovare posto uno studio sull’assenteismo nell’anno 2009/10 nelle scuole della provincia di Reggio. Sarebbe opportuno partire da questo fenomeno, potenzialmente molto rischioso per i singoli e per la societa’, per fare capire ai giovani che la legalità va vissuta prima di tutto andando a scuola e che commettono reati punibili a termini di legge i giovani che imbrattano e deturpano gli edifici, persino quelli del centro storico appena restaurati, gli studenti che quotidianamente danneggiano le strutture scolastiche o che di notte ne svuotano i distributori , quelli che postano su youtube le loro bravate e gli atti di bullismo. Oltre che la famiglia e la scuola, anche tutte le Istituzioni del territorio dovranno, con tutti gli strumenti a loro disposizione, possibilmente coordinati, impegnarsi a far capire a costoro che con i loro comportamenti offendono tutti quei compagni che studiano con serieta’ e che ci faranno inorgoglire della loro affermazione in contesti lavorativi prestigiosi sparsi per il mondo (anche perche’ la loro terra d’origine non ha saputo o voluto valorizzarli) . “Studiate per non essere fregati” ha detto giustamente il Procuratore Gratteri nei giorni scorsi agli studenti. Fregati dalla ‘ndrangheta innanzitutto, che nell’ignoranza e nella illegalità diffusa ha trovato un eccellente terreno di coltura.