Pignataro, (Cia): “credere nel valore delle produzioni tipiche”
“Le aziende che sono a noi associate e che rappresentiamo in Calabria in modo particolare, producono una ricchezza agroalimentare unica nel suo genere, ma nonostante tutto i prodotti a marchio IG nella nostra Regione sono appena 37 se si pensa che l’Emilia Romagna ne ha 80 e la Lombardia 75”.
A riflettere su questi dati è Luca Pignataro, che in capo alla Cia agricoltori di Cosenza, spiega come “i prodotti agroalimentari sono 18 e generano un valore di oltre 19 milioni di euro. Il comparto più consistente è quello degli ortofrutticoli tra cui spicca la Cipolla Rossa di Tropea che nello scorso anno ha fatto registrare, da sola, un aumento del 19 % in volume di produzione e del 34% in valore. Questo prodotto genera il più alto valore della produzione con circa 9 milioni di euro. Nel comparto vini la nostra regione conta 19 IG per un valore alla produzione superiore ai 7 milioni di euro”.
“L’olio e i vini, ad esempio, pur avendo una grande varietà di cultivar di alta qualità stentano a decollare. Dobbiamo fare dei passi avanti: alla base di un modello produttivo che scommette sulla qualità delle produzioni tipiche si pone innanzitutto un aspetto culturale: dobbiamo essere noi i primi ad essere consapevoli della nostra ricchezza e del valore che oggi i cittadini consumatori assegnano ai prodotti tipici – avanza la nota. Il “valore geografico” delle IG è dato da una numero elevato di caratteri distintivi che vanno dalla risorsa genetica alla qualità organolettiche impressa da condizioni naturali e ambientali, dal patrimonio storico-culturale di intere generazioni a tecniche produttive tradizionali: nella nostra Regione questi caratteri distintivi sono vastissimi, tocca a noi esserne profondamente coscienti e mettere in atto azioni e politiche, superando divisioni e limiti, che mirino direttamente a fare della nostra Regione, la punta di diamante dell’eccellenza italiana”.
“Ma la qualità, oltre che culturalmente riconosciuta, va adeguatamente garantita partendo proprio da alcuni concetti culturali fondamentali: possiamo fornire opportunità di sviluppo anche a molte aree collinari e montane del nostro Paese, che mai potrebbero competere sui costi, ma che dispongono di un grande patrimonio di prodotti tipici di qualità. Il profilo di qualità di un prodotto alimentare è molto complesso – espone ancora la nota. Ai prerequisiti della sicurezza igienico sanitaria, della legittimità e della veridicità delle etichette, si aggiungono requisiti essenziali (organolettici, salutistici), psicoculturali (evocativi ed etici), di processo, di servizio e di sistema. Questa ricchezza di opportunità, insieme alla molteplicità delle attese dei cittadini consumatori, fa sì che la qualità sia sempre una gamma di possibilità, nella quale vale il principio “non uno, non tutti”: non esiste una sola filiera di qualità per settore, ma neppure tutte le filiere possono essere considerate di qualità”.
“La qualità deve essere pianificata, correttamente realizzata, garantita e promossa verso i consumatori. La forma più adeguata di garanzia, nelle caratteristiche del mercato globale, è, oggi, la certificazione di parte terza, integrata e non contrapposta al ruolo generale di vigilanza pubblica. In un sistema efficiente ed efficace la certificazione non rappresenta un costo inutile ma un fattore generativo di valore”.
“Per rendere operativo un sistema di qualità occorre pianificare le specifiche di riferimento in un documento tecnico che prende il nome di disciplinare, (salvo che nel biologico che è regolato da un vero e proprio regolamento comunitario) che dovrebbe, in un sistema funzionale, essere sempre elaborato dal mondo produttivo ed autogestito eventualmente in strutture intersettoriali. Il disciplinare – conclude Pignataro - deve essere efficace per rispondere alle esigenze del mercato di riferimento ed efficiente per ridurre costi ed oneri burocratici”.