Chiusi due bar a Vibo, c’era di mezzo la ‘ndrangheta
Due dei bar più in voga e frequentati di Vibo Valentia, hanno chiuso i battenti poiché raggiunti da due ordinanze di chiusura per presunti rapporti con la ‘ndrangheta e, in particolare, con esponenti di spicco della cosca Mancuso di Limbadi e del gruppo dei cosiddetti “Piscopisani”.
Alla base dei due provvedimenti ci sono le informative diramate agli organi competenti dalla divisione Pasi, la polizia amministrativa, della Questura di Vibo. Un report trasmesso alla Prefettura che, a sua volta, ha scritto al Comune di Vibo ordinando di revocare la Scia, ovvero la segnalazione certificata di inizio attività.
Uno dei due locali, diversamente da quanto si evinceva dall’ordinanza emanata nelle scorse settimane dal Comune di Vibo Valentia, non è stato chiuso solo per la presenza di pregiudicati all’interno dei locali. Dietro il provvedimento adottato da palazzo “Luigi Razza” su input della Prefettura c’è di più.
Sulla carta il titolare risulta un giovane di 30 anni residente a San Gregorio d’Ippona che sarebbe legato - secondo quanto sostengono gli inquirenti nell’informativa trasmessa alla Prefettura - da un duraturo rapporto di amicizia con il fratello di un esponente apicale della consorteria mafiosa denominata “Società di Piscopio”.
L’attività commerciale, inizialmente intesta alla cognata di colui che viene definito come il reggente del gruppo dei Piscopisani, sarebbe stata ceduta al giovane di San Gregorio d’Ippona a seguito di un semplice accordo sulla parola. Una stretta di mano al posto di un vero e proprio atto di vendita del bar. Per gli investigatori si tratterebbe quindi di una sorta di prestanome.
Quanto all’altro bar, chiuso altre volte, - e per gli inquirenti - il proprietario sarebbe un professionista di Vibo ritenuto vicino ad un esponente di spicco della cosca Mancuso di Limbadi al quale si sarebbe rivolto per avere protezione.
Le accuse mosse dalla polizia nell’informativa trasmessa alla Prefettura di Vibo si poggia su una sentenza emessa dal Tribunale delle misure di prevenzione che nelle more di un’altra attività ha ritenuto che un esponente apicale dei Mancuso fosse – con estrema probabilità – il reale “dominus” del locale.
Per questo motivo il Comune di Vibo Valentia aveva già emesso l’ordinanza di revoca della Scia altre volte in precedenza. Il bar è risultato dapprima intestato alla compagna del professionista ritenuto vicino ai Mancuso, poi avrebbe riaperto i battenti cambiando società e intestandola alla madre, quindi con lo stesso stratagemma ad un ex dipendente.
Attualmente la società che lo gestisce fa capo ad una cittadina bulgara di 36 anni ma per gli inquirenti sarebbe sempre riconducibile alle stesse persone. Da qui l’ordine perentorio della Prefettura e l’ordinanza di chiusura dell’attività emessa lo scorso 21 maggio dal Comune di Vibo.