Fa il bullo con un ragazzo ostentando il suo cognome, nipote boss arrestato a Reggio
“Non sai chi sono io? Sono Giovanni Tegano”. Con queste parole è iniziata la violenza privata aggravata dalle modalità mafiose che è costata gli arresti domiciliari al 22enne rampollo di una delle più potenti cosche di 'ndrangheta di Reggio Calabria: Giovanni Tegano.
Il giovane, nato a Melito Porto Salvo e residente ad Archi, è il nipote, omonimo, del noto boss vertice dell'omonima famiglia di 'ndrangheta e attualmente detenuto. Oggi gli uomini della squadra mobile guidata da Francesco Rattà, al termine di indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia diretta dal procuratore capo Giovanni Bombardieri e seguite dal sostituto procuratore Walter Ignazitto, hanno eseguito l'ordinanza del gip che dispone gli arresti domiciliari per il giovane Tegano.
I fatti risalgono alla notte del 28 maggio dello scorso anno, quando il giovane in compagnia di altri amici, arrivò a forte velocità dinanzi a un noto bar cittadino, andando urtare con la ruota contro il marciapiede vicino al luogo dove era seduto un altro ragazzo, "colpevole" di avergli fatto cenno di andare piano. A quel punto Tegano, spalleggiato da altri quattro giovani, è sceso dall'auto ed ha affrontato il ragazzo con fare minaccioso, pronunciando le parole “Non sai chi sono io? Sono Giovanni Tegano” per poi inveire ed utilizzare la chiave dell’autovettura spingendola contro il collo della vittima, provocandogli lesioni personali.
Il ragazzo, è stato anche costretto a non allontanarsi, per subire un successivo confronto con Tegano, che intanto era entrato nel bar, e gli è stato impedito di usare il proprio telefono cellulare. Avvisato che la vittima voleva contattare le forze dell'ordine, Tegano è uscito dal bar e ha tentato, senza riuscirci, di colpire con schiaffi e pugni il ragazzo, che è finito a terra nel tentativo di evitare i colpi.
A quel punto, considerata la presenza di una moltitudine di avventori, Tegano e i suoi amici si sono allontanati. Gli investigatori hanno sentito diversi testimoni il cui racconto è stato corroborato dalle riprese video. A Tegano “viene contestata – sottolineano gli inquirenti - l'aggravante mafiosa per avere evocato, ostentando il proprio cognome, la forza intimidatoria dell'omonima cosca di 'ndrangheta”.